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Scuola, primo bilancio a un mese dall’apertura: cambiare senza cambiare

Primo mese sui banchi, primi bilanci per una scuola “nuova”. Eppure certe dinamiche rimangono noiosamente sempre identiche a sé stesse, quando invece basterebbe così poco per avere una scuola che appassioni chi si trova davanti e dietro la cattedra
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Scuola, primo bilancio a un mese dall’apertura: cambiare senza cambiare

Primo mese sui banchi, primi bilanci per una scuola “nuova”. Eppure certe dinamiche rimangono noiosamente sempre identiche a sé stesse, quando invece basterebbe così poco per avere una scuola che appassioni chi si trova davanti e dietro la cattedra
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Scuola, primo bilancio a un mese dall’apertura: cambiare senza cambiare

Primo mese sui banchi, primi bilanci per una scuola “nuova”. Eppure certe dinamiche rimangono noiosamente sempre identiche a sé stesse, quando invece basterebbe così poco per avere una scuola che appassioni chi si trova davanti e dietro la cattedra
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Primo mese sui banchi, primi bilanci per una scuola “nuova”. Eppure certe dinamiche rimangono noiosamente sempre identiche a sé stesse, quando invece basterebbe così poco per avere una scuola che appassioni chi si trova davanti e dietro la cattedra
A un mese dal suono della campanella, è tempo di tirare le prime somme per una scuola che si proclama profondamente cambiata dopo aver vissuto gli sconquassi di una pandemia. Quest’anno il ritorno sui banchi è stato speciale per tutti: niente più obbligo di mascherine né distanziamento sociale. Non aspetti di poco conto, soprattutto per i più piccoli, alcuni dei quali non avevano ancora mai condiviso un banco con un compagno o scambiato qualche battuta durante i pasti (vigeva l’obbligo del silenzio). Ma la scuola italiana, la sua battaglia per la normalità, l’ha appena cominciata e, presto o tardi, la perderà se alcune cose non dovessero cambiare. In soli due anni si contano 230mila alunni in meno, l’equivalente di 3mila classi; un calo mastodontico, registrato soprattutto nelle scuole dell’infanzia (elementari comprese), che rispecchia la crisi demografica in atto. Eppure dovrebbe essere cristallino ormai: un paese che non fa figli è un paese senza futuro. Ciò nonostante, durante la campagna elettorale, il tema “famiglia” è apparso fuori fuoco. Il dibattito dei leader si è più concentrato sullo spiegarci chi amare (leggasi la polemica innescata dalle due mamme di Peppa Pig) anziché cosa fare per ridare spinta alla natalità. Al contrario, di scuola si parla eccome, ma in termini troppo distanti dalla realtà. Da un lato il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha raccontato di un anno scolastico cominciato senza intoppi, dall’altro i dati trasmessi a livello locale dicono esattamente il contrario: graduatorie uscite all’ultimo secondo con inevitabili ritardi sulle convocazioni. E’ l’arte del rimpallo, in cui gli italiani sono maestri. Le dinamiche sono noiosamente sempre le stesse. Eppure la scuola è cambiata. E così anche le pretese, di conseguenza, non dovrebbero essere più le stesse di 30 anni fa. L’offerta formativa è pressoché cementata in schemi giurassici quando invece abbiamo bisogno di una scuola innovativa, più tecnologica, dove la differenza non la fanno solo il tablet o l’uso della LIM. Per esempio, cosa ferma un insegnante dal mostrare in classe una lezione di un collega di Harvard, anche se non prevista dal programma? Provino a coinvolgere e impressionare i ragazzi con contenuti originali, lasciandogli in dono qualcosa di memorabile da portarsi dietro per la vita mentre i genitori, dal canto loro, imparino a non essere un intralcio. Servirebbero tanti professor Keating, il leggendario “oh mio capitano” de “L’attimo fuggente” perché il rischio è che a scappare, prima o poi, siano proprio i ragazzi. Ilaria Cuzzolin

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