Serve educare
Prima Vieste e poi Sirignano, aumentano i casi di violenza gratuita e organizzata dei bulli che dettano legge. E i grandi dove sono?
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Prima Vieste e poi Sirignano, aumentano i casi di violenza gratuita e organizzata dei bulli che dettano legge. E i grandi dove sono?
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Prima Vieste e poi Sirignano, aumentano i casi di violenza gratuita e organizzata dei bulli che dettano legge. E i grandi dove sono?
Prima Vieste e poi Sirignano, aumentano i casi di violenza gratuita e organizzata dei bulli che dettano legge. E i grandi dove sono?
Prima Vieste in Puglia, poi Sirignano in Campania. I bulli dettano legge e la fanno da padroni. Casi di violenza gratuita ma organizzata che diventano noti ai più perché la scena madre dell’umiliazione – «Inchinati», «Se lo dici a tua mamma ti appendiamo come Cristo in croce» – è stata ripresa con lo smartphone e i video si sono diffusi in un attimo in Rete. Si vedono adolescenti – ragazzine comprese – che inneggiano alla violenza e la praticano con chi è più debole di loro. E i grandi dove sono? Arrivano dopo per fare la morale e dire che «la società è in preda a una profonda crisi di valori» – nientemeno – e che lo stesso mezzo usato per fare il video e diffonderlo – il telefonino – è il male. Non so se sia peggiore il fattaccio o il tentativo di commentarlo. Per capirci, Shakespeare in “Racconto d’inverno” fa dire queste cose a un personaggio del dramma: «Vorrei che l’età tra i dieci e i ventitré anni non ci fosse, o che la gioventù la passasse tutta a dormire: in quel periodo, infatti, non si fa altro che mettere incinte le ragazze, far torto ai vecchi, rubare, fare a pugni». Dunque, nulla di nuovo sotto il sole. Il problema non sta nella violenza giovanile ma nel giudizio che gira a vuoto e girando a vuoto si rifugia nel moralismo. La gioventù non è violenta perché c’è la crisi dei valori o è stato inventato il telefonino ma perché è cruda e verde, persino cattiva. Sì, proprio così, perfino cattiva. E non bisogna aver paura delle parole perché “cattiveria”, “violenza”, “cruda e verde” significa che il momento eterno della barbarie eternamente si ripresenta, naturalmente sotto forme e fogge nuove che, in questi casi, sono la tecnologia, i telefonini, i video. È qui che c’è il compito di quelle due istituzioni che chiamiamo famiglia e scuola: nel dare forma alla nuova forza vitale che cresce e incanalarla nella civiltà affinché la stessa vita civile ne riceva giovamento rinfrescandosi e rinvigorendosi. Il lavoro educativo, che inizia in famiglia, prosegue a scuola e finisce solo quando si crede che non ci sia più niente da imparare – ma al tempo d’oggi si tende a credere d’aver figli ‘nati imparati’ – non consiste nell’annullare la forza vitale ma nel darle una forma, secondo il senso stesso della parola “educazione” che significa “condursi nel mondo”. Invece, troppo spesso i nostri “sistemi educativi” – brutta espressione – tendono al razionalismo e credono che bastino quattro formulette di educazione al rispetto per neutralizzare il bullismo, la prepotenza, la nuda cattiveria. È un errore, un grave errore che nella nostra scuola ha perfino un nome e un cognome: Educazione civica. Sarebbe meglio avere l’Educazione cinica, se non si rischiasse di fare solo una battuta con un calembour.
La verità è ancora più amara. Salvatore Valitutti – chi era costui? – lo diceva con una formula esemplare: «La scuola è educazione attraverso la cultura». La cultura, dunque, non come fine ma perfino come mezzo nello sforzo di tirar su la nuova umanità. Perché questo è il punto: l’umanità si crea, mentre un po’ tutti sono immersi nel mito del buon selvaggio, tranne poi scadere nel moralismo – i valori, il telefonino – quando il buon selvaggio si mostra nella sua cruda crudeltà. Le scene di Vieste e di Sirignano (e chissà quante altre sono nell’ombra) sono classiche scene da “Arancia meccanica”. La discussa opera di Anthony Burgess è del 1961. Forse, al tempo vi era crisi dei valori ma non vi erano i telefonini, eppure il male, il male giovanile era vivo e vegeto. Perché il conflitto tra il bene e il male c’è sempre, anche se, per un eccesso di ottimistica presunzione, non sappiamo più riconoscere né l’uno né l’altro.
Di Giancristiano Desiderio
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