Tanti spioni all’amatriciana
Inchiesta banche dati: in Italia non si riesce ad essere seri nemmeno a commettere reati. Come finirà? In nulla, statene pur certi
Tanti spioni all’amatriciana
Inchiesta banche dati: in Italia non si riesce ad essere seri nemmeno a commettere reati. Come finirà? In nulla, statene pur certi
Tanti spioni all’amatriciana
Inchiesta banche dati: in Italia non si riesce ad essere seri nemmeno a commettere reati. Come finirà? In nulla, statene pur certi
Inchiesta banche dati: in Italia non si riesce ad essere seri nemmeno a commettere reati. Come finirà? In nulla, statene pur certi
Amara constatazione: siamo un Paese, non sempre ma spesso, da operetta. Non riusciamo a essere seri manco nello spionaggio. Da noi non c’è un Watergate ma in genere una trattoria, tovaglia a quadretti, cameriere con tovagliolo ascellare, un piatto di fumante pastasciutta e due, massimo tre cosiddetti ‘spioni’ che inscenano la commedia alla Totò e Peppino: «Dobbiamo spiare Marcell Jacobs». Che non è un nemico dello Stato, un agente della concorrenza internazionale, ma un atleta che corre molto veloce e ha vinto anni fa una medaglia d’oro nei 100 metri alle Olimpiadi di Tokyo.
Il ministro della Difesa Crosetto vuole dare più poteri all’Antimafia di Melillo; il sottosegretario Mantovano invece vuole spingere perché l’Agenzia della cybersicurezza abbia più mezzi. Sappiamo come andrà a finire: né l’una né l’altra combineranno un gran che. Il gip di Milano ha pressoché azzerato le richieste della locale Procura. Per ora, a meno di future sorprese, il fenomeno delle intromissioni degli hacker nostrani nella rete di dati italiana assomiglia più alla sceneggiatura di un film con Alberto Sordi e la compianta Sora Lella. Più che informazioni segrete su quanti cannoni abbiamo, magari da rivendere ad amici e nemici, questi hacker – che non hanno niente a che vedere con Tom Cruise e “Matrix” – cercano per conto terzi, i mandanti, di scoprire il più classico dei tradimenti, dai tempi di Elena e della conseguente guerra di Troia. Non vedo però in giro Achille, Ulisse, Telemaco, Paride e soci ma una rete colabrodo nella quale – fra banche dati istituzionali e banche che dovrebbero conservare e far fruttare i nostri risparmi – si aggirano ‘spioni’ maldestri, curiosi di sapere quanto guadagna il tizio famoso di turno.
Nell’inchiesta di Milano compare il capo della Fiera: era a conoscenza, ci dicono, di accertamenti su una consulenza da 200mila euro da lui fatta a Banca Intesa. Chissà quali segreti cercavano. Forse bastava sapere il codice fiscale e l’Iban dello spiato. Ma potrebbe essere che l’hacker non possedesse lo Spid!
Confezionarono, sempre secondo il deposito degli atti in edicola o quel che ne resta, lettere anonime per far dimettere un manager. Cattiverie e invidie vecchie come il mondo. Basta leggere un libro con le avventure di Poirot o di Maigret, con la sua indimenticabile pipa. Meglio così, penserete, a parte la seccatura di sospettare che i nostri conti correnti, nonostante le decine di firme per la privacy, sono tutto fuorché privati.
Come finirà? In nulla, statene pur certi. Perché abbiamo molti pregi ma tanti difetti e, come disse il grande Pirandello, «non è una cosa seria». Per un po’ ce ne pasceremo, poi ci sarà una inutile Commissione d’inchiesta parlamentare e fra una o due generazioni la polvere si depositerà sui fascicoli o nei database.
Di Andrea Pamparana
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