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Banche e tasse, costi per i clienti

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La maggiore tassazione degli utili delle banche, impropriamente chiamati extraprofitti, è una di quelle idee che incarnano alla perfezione l’idea di populismo

Banche e tasse, costi per i clienti

La maggiore tassazione degli utili delle banche, impropriamente chiamati extraprofitti, è una di quelle idee che incarnano alla perfezione l’idea di populismo

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Banche e tasse, costi per i clienti

La maggiore tassazione degli utili delle banche, impropriamente chiamati extraprofitti, è una di quelle idee che incarnano alla perfezione l’idea di populismo

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AUTORE: Bancor

La maggiore tassazione degli utili bancari, impropriamente chiamati extraprofitti, è una di quelle idee che incarnano alla perfezione l’idea di populismo, inteso come il desiderio di giustizia sommaria, immediata, per lo più vendicativa e che di fatto non solo non fa giustizia ma aumenta le disparità fra i più fortunati e i meno, senza offrire alcuna visione analitica del problema. Andiamo per gradi.

Da alcuni anni le banche stanno generando margini e profitti effettivamente molto importanti

Da alcuni anni le banche stanno generando margini e profitti effettivamente molto importanti. E questo è un gran bene per il sistema, per chi ci lavora e per i risparmiatori che vi hanno investito, direttamente o indirettamente. Questa marginalità è dovuta prevalentemente all’andamento del ciclo economico, del ciclo dei tassi e alla corretta azione della Banca centrale europea che è riuscita a mettere sotto controllo l’inflazione. Il governo in tutto questo c’entra poco. Ma soprattutto, questo fa parte del normale andamento del ciclo economico.

La posizione di Salvini

Infatti nei lunghi anni in cui l’on. Salvini, dal governo e dall’opposizione, strepitava contro l’euro e contro l’Ue – contribuendo notevolmente a far allargare lo spread e a mettere le nostre banche in profonda difficoltà, perdendo denaro a fiumi – le banche non hanno chiesto indennizzi né a lui né allo Stato per i danni subiti. Quello che si chiama extraprofitto è semplicemente frutto dell’alternarsi delle fasi di politica monetaria più o meno favorevoli agli istituti di credito, oltre al normale alternarsi delle fasi di espansione e contrazione del ciclo economico, come accade a qualsiasi industria.

Quelle che invece l’on. Salvini non nota (e quindi non risolve) sono certe storture tuttora esistenti nell’attività bancaria. Alcune sono quelle che Mario Draghi ha definito le “barriere interne” all’Ue: pensiamo al costo dei bonifici fra banche europee. Inviare o ricevere danaro da un Paese all’altro ha costi inusitati, a danno dei cittadini e delle imprese che pagano un servizio molto più del suo giusto valore. Perché allora il governo non interviene su queste prassi, chiedendo di eliminare una palese discriminazione all’interno di un’attività d’impresa? Infatti trasferire danaro all’interno del Paese o fra Paesi europei non ha nessun costo aggiuntivo: perché dunque chiedere 20 o 30 o 50 volte tanto ciò che si chiede per un trasferimento domestico? I cittadini ne trarrebbero un immediato beneficio e si otterrebbe anche il risultato agognato dal governo di tagliare un po’ le unghie alle banche.

Banche e non solo. Pensiamo al risparmio gestito

Pensiamo al risparmio gestito: le grandi banche estere, prevalentemente americane, creano delle classi apposite di fondi per il nostro Paese, con commissioni più che doppie rispetto a quelle a cui vengono collocati gli stessi identici prodotti ai cittadini Usa. Cioè i risparmiatori italiani pagano il doppio quel che altrove costa la metà. E questo perché le banche chiedono alle istituzioni Usa di condividere il ricavo derivante dal collocamento presso la propria clientela dei prodotti americani. Per consentire ciò si creano classi di fondi appositi dove il risparmiatore fa la fine del vaso di coccio. E l’on. Salvini sta a guardare. Anche su questo un intervento equalizzatore del governo avrebbe l’effetto di incrementare i risultati del risparmio gestito degli italiani che si affidano ai gestori a stelle e strisce.

Quindi, a parte l’incoerenza di proporre un incremento dell’Irap alle banche da parte di chi a lungo ne ha sostenuto l’abolizione, resta il fatto che tassare un profitto che si ritiene un furto trasforma il governante in una sorta di ricettatore, facendo cassa su utili formatisi a spese degli italiani.

Non sarebbe preferibile ridurre gli oneri a carico degli italiani anziché farsi partecipe di una condivisione di ricavi iniqui a carico dei propri cittadini? Far pagare più tasse alle banche non porta alcun beneficio ai risparmiatori, anzi: quel costo fiscale aggiuntivo verrà presto scaricato nuovamente sulle loro spalle. E lo Stato così se ne rende corresponsabile. Hai voglia poi a gridare «Prima gli italiani!».

di Bancor

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