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Usare la comunicazione per portare le PMI sui mercati finanziari

Non tutta la comunicazione è uguale. Ne abbiamo parlato con Vincenza Colucci e Silvia Di Rosa, fondatrici di CDR Communication, società attiva nel settore dell’investor relation
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Usare la comunicazione per portare le PMI sui mercati finanziari

Non tutta la comunicazione è uguale. Ne abbiamo parlato con Vincenza Colucci e Silvia Di Rosa, fondatrici di CDR Communication, società attiva nel settore dell’investor relation
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Usare la comunicazione per portare le PMI sui mercati finanziari

Non tutta la comunicazione è uguale. Ne abbiamo parlato con Vincenza Colucci e Silvia Di Rosa, fondatrici di CDR Communication, società attiva nel settore dell’investor relation
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Non tutta la comunicazione è uguale. Ne abbiamo parlato con Vincenza Colucci e Silvia Di Rosa, fondatrici di CDR Communication, società attiva nel settore dell’investor relation
Un grande problema dell’economia italiana è il nanismo finanziario: la scarsa propensione a investire nei mercati finanziari che fa perdere terreno alle aziende nostrane rispetto a quelle straniere. Un’attività fondamentale per le PMI che vogliono quotarsi è quella di comunicare la propria storia agli investitori, in modo da farsi conoscere e creare fiducia attorno al proprio nome. Di questo abbiamo parlato con Vincenza Colucci e Silvia Di Rosa, fondatrici di CDR Communication, società attiva nel settore dell’investor relation Cosa è l’attività di Investor Relation e come si differenzia dalla media relation classica? Colucci: “Sappiamo bene che per molti l’attività di investor relation non è ben definita. Spesso le società che si stanno per quotare o appena quotate scambiano questa attività con quella di media relation. L’investor relation serve a far conoscere al mondo degli investitori istituzionali e retail una società quotata, attraverso diversi punti: la sua storia, il management, i suoi numeri. Attorno a tutto questo che noi chiamiamo l’equity story trova spazio l’investor relator che, partendo dagli strumenti classici della comunicazione finanziaria come comunicati stampa e presentazioni istituzionali avvia il dialogo con investitori e analisti finanziari in modo da tenere sempre desta l’attenzione sulla società emittente”. Di Rosa: “Anche noi facciamo comunicazione finanziaria ma, mentre il settore della media relation fa da tramite tra società e media, noi comunichiamo a livello molto più tecnico, rivolgendoci agli investitori e agli analisti, piuttosto che alla stampa. Non a caso abbiamo un know-how di finanza: sia io che Vincenza veniamo dal mondo dei numeri, non propriamente da quello della comunicazione. Possiamo dire che la nostra è una comunicazione più quantitativa, quella dei media relation è più qualitativa”. Qual è il ruolo dei social nel settore? Di Rosa: “Sicuramente i social media possono essere un valido alleato di entrambe le anime, investor e media relation. Per esempio l’investor relator può utilizzare questo strumento per far sapere di aver chiuso con un + 200% di fatturato e + 150% di EBIDTA. Un messaggio istantaneo e sicuramente efficace. Noi come CDR Communication cerchiamo sempre di lavorare coordinando entrambe le due aree della comunicazione, quella più tecnica e quella meno tecnica”. Colucci: “Il rischio dei social è insito nella loro immediatezza. Vanno utilizzati in maniera ponderata, senza farsi trasportare troppo dal momento, ma avendo un piano editoriale e ragionando molto bene sui contenuti. Ci sono diversi casi di manager di aziende che si sono affrettati nel fare dichiarazioni poi disattese dalla realtà, penalizzando l’immagine loro e dell’azienda che rappresentano”. Come e perché è nata CDR Communication Colucci: “Veniamo entrambe dal mondo finanziario, io sono stata per anni analista finanziario e Silvia ha lavorato a lungo con i bilanci. Abbiamo vissuto esperienze in azienda e presso broker e prima di fondare CDR Communication abbiamo svolto l’attività di investor relation in grandi società quotate. Ci siamo rese conto che le PMI avevano bisogno di supporti per entrare nel mondo finanziario, che è pieno di regole e va conosciuto a fondo. Secondo noi c’era una grande opportunità di mercato e quindi abbiamo deciso di procedere. Abbiamo iniziato nel 2011 dalla mia cucina  con due contratti che abbiamo tutt’ora. Adesso siamo una realtà di una quindicina di persone che segue circa 45 società quotate. Direi che l’intuizione è stata corretta”. Di Rosa: “Questa intuizione è nata anche dalla consapevolezza che la figura dell’investor relator non era ancora molto sviluppata in Italia. Si tratta di una professione con matrice anglosassone che da noi ha iniziato a prendere forma solo nei primi anni ’90. Parlando di investor relation si pensava subito ai giornali e non alla platea davvero vitale per queste realtà che è quella degli investitori. Dal 2018 abbiamo iniziato anche a seguire le IPO (offerta pubblica iniziale) e ne abbiamo concluse 27, l’ultima proprio due giorni fa”. A quale settore appartengono per lo più le attività che vogliono quotarsi? Colucci: “Sicuramente l’Italia è un Paese caratterizzato da piccole e medie imprese virtuose. Negli ultimi tempi stiamo vedendo quotarsi molte imprese industriali, così come realtà del settore tecnologico, dell’intelligenza artificiale e della cyber security. Ma in ultima istanza dobbiamo dire che in Italia le società che vogliono quotarsi arrivano dai settori più disparati. Stiamo vedendo un ritorno molto importante dei capitali esteri in Italia, una normalizzazione dopo l’annus horriblis passato nel 2022. C’è da evidenziare una grande attenzione da parte degli investitori francesi nelle società di piccole e media dimensione nostrane. Dal canto nostro, nel mercato italiano c’è il problema della liquidità dopo che le società si quotano. Un problema che trova la sua causa principale nella scarsità dei volumi scambiati giornalmente. Il tema della liquidità è grave e andrebbe affrontato anche a livello strutturale perché riguarda tutte le società italiane che appartengono al mercato non regolamentato”. La scarsa educazione finanziaria è alla base del nanismo finanziario. Può essere utile portare questo insegnamento nelle scuole? Di Rosa: “Secondo noi avere una base di cultura finanziaria sin dalle scuole superiori farebbe sicuramente bene ai nostri ragazzi. Ce ne accorgiamo anche quando assumiamo degli stagisti: non hanno un’idea ben chiara di che cosa sia il mercato finanziario, pur avendo qualche conoscenza tecnica. Il problema più grande risiede comunque nella mancanza di conoscenza della materia da parte degli imprenditori con cui ci interfacciamo per professione. Potrebbe essere sicuramente una buona proposta quella di portare questo insegnamento nelle scuole”. Di Giovanni Palmisano

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