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Cresciamo

L’Italia cresce ed è un +3,9% per il 2022 a confermarlo. Ma cresce anche la propaganda dello sfascio e del pessimismo portata avanti dallo stesso Governo con manovre che non sono piaciute a Bruxelles. 
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L’Italia cresce ed è un +3,9% per il 2022 a confermarlo. Ma cresce anche la propaganda dello sfascio e del pessimismo portata avanti dallo stesso Governo con manovre che non sono piaciute a Bruxelles. 
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L’Italia cresce ed è un +3,9% per il 2022 a confermarlo. Ma cresce anche la propaganda dello sfascio e del pessimismo portata avanti dallo stesso Governo con manovre che non sono piaciute a Bruxelles. 
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L’Italia cresce ed è un +3,9% per il 2022 a confermarlo. Ma cresce anche la propaganda dello sfascio e del pessimismo portata avanti dallo stesso Governo con manovre che non sono piaciute a Bruxelles. 
L’Italia e gli italiani devono far pace con sé stessi. Imparare a riconoscersi per quello che sono, smetterla di scegliere istintivamente la lettura più sconfortante della propria realtà. Di apparire persino dissociati, come proveremo a spiegare. Lo ripetiamo – consci di urlare in una stanza insonorizzata – mentre fuori vince il baccano insulso dell’ultimo post allarmista: nel 2022 l’Italia è cresciuta tanto, smentendo persino sé stessa. Nel terzo trimestre il Pil ha fatto segnare +0,6%. La stima diceva +0,5% e le previsioni, anche della Banca d’Italia, -0,2%. La crescita acquisita per il 2022 è oggi del 3,9%. Ossia, sarebbe questa anche se negli ultimi tre mesi il Pil dovesse segnare zero. A spingere la crescita sono stati soprattutto i consumi interni. Non un dettaglio: a luglio, agosto e settembre – mentre cadeva il governo Draghi e ci si avviava alle elezioni – gli italiani (un po’ dissociati) credevano in loro stessi, come dimostrato dalla crescita dall’indice di fiducia di famiglie e aziende. Intanto ascoltavano di un Paese straccione e semifallito, ossessivamente narrato in campagna elettorale e non solo. Abbiamo fatto un test davanti a una platea di cento persone, oltretutto “ben disposte” perché interessate a possibili investimenti: nessuno – dicasi nessuno – sapeva che quest’anno l’Italia sta crescendo a ritmi che hanno fatto impallidire la Germania; tutti erano convinti di essere in recessione da mesi. La propaganda dello sfascio funziona ed è una responsabilità di chi l’ha messa cinicamente in piedi, ma nell’era dell’informazione h24 essere così all’oscuro dei fatti di casa nostra resta inconcepibile. Tutto questo ha un costo, a cominciare dalla delicata gestione del Pnrr. Su di esso non si scherza, è la chiave per garantirci crescita e sviluppo in continuità. I segnali, però, sono quelli che sono: diversi ministri del governo Meloni hanno espresso forti perplessità sulla possibilità di rispettare gli impegni presi con la Commissione europea per la fine dell’anno. Sono quelli necessari a sbloccare la prossima tranche da 19 miliardi di euro. Il ministro Raffaele Fitto, con delega all’attuazione del Pnrr, ha messo rumorosamente le mani avanti, sottolineando che saremo molto lontani dai 22 miliardi di spese previste. Soldi già a nostra disposizione (in totale ci sono stati consegnati 66 miliardi) che non saremo in grado di mettere in moto. Grave. Al rispetto degli impegni assunti dal Paese con Bruxelles – c’era al governo Draghi, ma quello che conta ora è la capacità dell’Italia di onorare le scadenze – è legata la sopravvivenza stessa del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Preoccupa che nelle ultime settimane il governo sembri impegnato soprattutto a sottolinearne le pur oggettive difficoltà, a cominciare dal fenomeno inflattivo. Ritardi e lentezze nell’apertura dei cantieri e nell’assegnazione dei lavori non possono essere spiegati solo con i maggiori costi derivati dall’inflazione. Pesano quelle ataviche pastoie burocratiche la cui cancellazione era fra i presupposti del gigantesco finanziamento. Così come era un impegno ben preciso quello assunto sull’evasione fiscale. Non sono piaciuti a Bruxelles due segnali della manovra: l’innalzamento dell’uso del contante a 5mila euro e la possibilità di rifiutarsi di usare il Pos fino a 60 euro. Più pesante ancora un fantasma che si aggira fra i corridoi dei Palazzi: il decreto attuativo della legge sulla concorrenza, lasciato in eredità dal governo Draghi. Il provvedimento prevede l’obbligo delle gare per i contratti del trasporto pubblico locale. Se i Comuni dovessero affidare senza gara un servizio a una controllata, dovrebbero giustificarlo. Le resistenze sono innumerevoli e il ministro per le Autonomie Calderoli ascolta e concede “tavoli”. Il mitologico modo all’italiana per diluire i tempi e non decidere. Se non saremo capaci di tenere a bada gli interessi particolari, se daremo anche solo la sensazione di non saper tenere la mano fermissima sulla montagna di soldi arrivati e in arrivo, metteremo a repentaglio la crescita dell’Italia e il nostro stesso futuro.   di Fulvio Giuliani  

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