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Il Sì di Giorgetti

Il No al Mes non è a vantaggio del Paese. L’ha fatto capire in modo chiaro e duro il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti
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Il No al Mes non è a vantaggio del Paese. L’ha fatto capire in modo chiaro e duro il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti
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Il No al Mes non è a vantaggio del Paese. L’ha fatto capire in modo chiaro e duro il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti
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Il No al Mes non è a vantaggio del Paese. L’ha fatto capire in modo chiaro e duro il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti
Non ci voleva un genio e infatti ci eravamo arrivati agilmente persino noi: il No alla ratifica del Mes risponde a più che legittime esigenze politiche, ma non al vantaggio del Paese. Soprattutto – piaccia o non piaccia la verità con cui fare i conti – ai cruciali rapporti con i partner europei. L’ha fatto capire in modo che più chiaro e duro non si poteva, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Lasciamo pure perdere che sia unanimemente considerato il più ‘europeista’ dei ministri del governo Meloni (la cosa è scontata, visto il suo ruolo e le sue frequentazioni quotidiane), il punto è lo slancio di sincerità a meno di 24 ore dal No: “Fosse stato per me lo avrei approvato, ma non c’erano le condizioni“. Non c’è da aggiungere molto, solo da considerare ciò che avrebbe fatto maggiormente gli interessi del Paese in questo specifico e delicato passaggio. Non è successo nulla di drammatico, riprenderemo a discuterne nel 2024 – questo è poco ma è sicuro – probabilmente ci racconteremo di farlo su altre e più convenienti basi, narreremo dell’inizio di una nuova interlocuzione, eccetera, eccetera… Sta di fatto che ne dovremo riparlare, perché lo vogliono 26 paesi su 27 e in democrazia funziona così. Non solo quando riceviamo gongolando (e vorremmo pure vedere!) i miliardi del Next Generation Eu. Nell’attesa, ci sono altre conseguenze che riguardano direttamente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La partita del Mes era un interesse specifico ben noto del leader della lega Matteo Salvini, che può rivendicare il successo e passare all’incasso (non crediamo tale da poter neppure lontanamente intaccare i rapporti di forza nella maggioranza). Comunque, staremo a vedere. Quanto alla leader di Fratelli d’Italia – che non fa più opposizione e non ha opposizione- c’è da chiedersi quale sia il vantaggio. Nessuno può neanche immaginare di insidiare la sua leadership: nel partito non scherziamo, nella maggioranza non cominciamo manco a parlarne e quanto alle opposizioni siamo al nulla tendente all’infinito. Le condizioni ideali non tanto per rispolverare il sovranismo che fu, ma per fare quel salto di qualità che risponderebbe alla personalità politica di Giorgia Meloni, ma anche alla sua stessa narrazione. Cosa ci sarebbe di più importante, per una politica che ha sempre amato descriversi come una ‘Underdog’, che affermarsi come statista di levatura europea? Cosa deve ancora confermare in Italia, stante la situazione di cui sopra? Cosa rischia? Sono proprio passaggi come quello di giovedì a non portare nulla di nuovo, costringendola in quella visione un po’ provinciale e vagamente inaffidabile a cui vorrebbero inchiodarla gli avversari. Si può essere di destra e conservatori ed essere europeisti e politici con una visione ambiziosa. L’occasione per Giorgia Meloni è ora. Perché, come sempre in politica, nulla è eterno e la storia premia quasi sempre le scelte coraggiose. Per il piccolo cabotaggio sono buoni tutti o quasi. di Fulvio Giuliani  La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

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