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Giusto riformare il catasto ma non comporti più tasse

La riforma del catasto prevede una nuova valutazione degli immobili, basata sul loro prezzo di mercato. Attesa da anni, sia fatta bene, in  mancanza di adeguati correttivi le conseguenze potrebbero essere negative.
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Giusto riformare il catasto ma non comporti più tasse

La riforma del catasto prevede una nuova valutazione degli immobili, basata sul loro prezzo di mercato. Attesa da anni, sia fatta bene, in  mancanza di adeguati correttivi le conseguenze potrebbero essere negative.
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Giusto riformare il catasto ma non comporti più tasse

La riforma del catasto prevede una nuova valutazione degli immobili, basata sul loro prezzo di mercato. Attesa da anni, sia fatta bene, in  mancanza di adeguati correttivi le conseguenze potrebbero essere negative.
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La riforma del catasto prevede una nuova valutazione degli immobili, basata sul loro prezzo di mercato. Attesa da anni, sia fatta bene, in  mancanza di adeguati correttivi le conseguenze potrebbero essere negative.
Il governo Draghi si accinge ad approvare una riforma del catasto, con l’obiettivo di calcolare il valore degli immobili in base al loro prezzo di mercato e non più in base ad estimi arcaici, che nella maggioranza dei casi conducono ancor oggi a una sottovalutazione dei medesimi. È una riforma ragionevole e necessaria, attesa vanamente da un quarto di secolo, ma le cui conseguenze possono essere negative, in mancanza di adeguati correttivi. La riforma, infatti, provocherà un forte aumento delle imposte sugli immobili, in mancanza di una riduzione delle aliquote o di una revisione della base imponibile. Nel secolo scorso, investire nel mattone era la scelta preferita per la maggioranza degli italiani, considerata a giusto titolo sicura e profittevole. L’ultimo ventennio è stato invece per l’Italia un periodo di declino economico, con conseguente calo o stagnazione dei valori medi degli immobili, colpiti contemporaneamente da una maggiore pressione fiscale. Le imposte sugli immobili sono oggi una delle principali fonti di gettito per le amministrazioni locali. Le tasse che versiamo sulla casa in cui abitiamo servono a pagare i servizi che il Comune presta ai cittadini: strade, illuminazione pubblica, polizia locale. L’aliquota di imposizione è fissata dall’amministrazione comunale, eletta dai residenti. Il sistema è coerente, e gli elettori possono scegliere se votare a favore di maggiori o minori tasse, con conseguenti minori o maggiori servizi pubblici. Dal 2013, tuttavia, le ‘prime case’, cioè gli immobili in cui i cittadini risiedono personalmente e abitualmente, non sono più soggette all’Imu, con la conseguenza di spostare il carico impositivo unicamente sugli immobili commerciali o dati in locazione. Riformando ora il catasto, per adeguarlo giustamente ai valori di mercato, la pressione fiscale sulla parte degli immobili soggetta a Imu aumenterà ulteriormente, rendendo ancor meno interessante gli investimenti in immobili e la loro ristrutturazione, e generando dunque ulteriore degrado immobiliare. Qual è il rimedio ragionevole da considerare contestualmente alla riforma del catasto? Sostituire l’esenzione dall’Imu vigente per le ‘prime case’ con una ‘quota esente’ per famiglia residente – ad esempio di 180mila euro, corrispondente al valore medio di un appartamento di 100 metri quadri in Italia – in maniera da continuare a non tributare le fasce meno abbienti della popolazione, ma allargando fortemente la base impositiva, e facendo di conseguenza crescere la pressione politica per una riduzione delle aliquote. di Ottavio Lavaggi 

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