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I benefici dell’home working tradotti in numeri

Nulla sarà come prima: l’home working ha rivoluzionato il mondo del lavoro con notevoli benefici anche per le aziende
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I benefici dell’home working tradotti in numeri

Nulla sarà come prima: l’home working ha rivoluzionato il mondo del lavoro con notevoli benefici anche per le aziende
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I benefici dell’home working tradotti in numeri

Nulla sarà come prima: l’home working ha rivoluzionato il mondo del lavoro con notevoli benefici anche per le aziende
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Nulla sarà come prima: l’home working ha rivoluzionato il mondo del lavoro con notevoli benefici anche per le aziende
La pandemia ha alfabetizzato più di 2,6 miliardi di umani al digitale, alla connessione e all’home working, confermando – statistiche alla mano – che, senza retorica, “nulla sarà più come prima”. Il sistema tolemaico dell’azienda verso cui convergono ogni mattina colletti bianchi e colletti blu si frammenta, si reticola e si sposta, in accelerazione, su dispositivi portatili, cloud e smartphone, atterrando sul bancone del bar, su qualche raro Metaverso, sulle ginocchia in poltrona, sul tavolo da cucina. L’85% della generazione Z (che entro il 2025 rappresenterà più di un quarto della forza lavoro mondiale) vuole lavorare vicino a casa (indagine di Iwg). Circa il 66% afferma che vorrebbe vedere maggiori investimenti nella salute mentale e nel benessere per migliorare la cultura aziendale. Dunque l’imperativo è prossimità, flessibilità e “umanità” (l’84% si sente più felice quando lavora da remoto). Gli obiettivi sono: 1. risparmiare sui costi, sia per i dipendenti (FlexJobs stima che le persone che lavorano da casa risparmino, in media, 4mila dollari all’anno) sia per i datori di lavoro (l’88% concorda di aver realizzato risparmi sui costi immobiliari negli ultimi mesi e il 92% prevede risparmi nei prossimi due o tre anni); 2. avere permanentemente in azienda talenti anche distanti migliaia di chilometri; 3. aumentare la produttività (confermato da montagne di ricerche: il 90% dei dipendenti è altrettanto produttivo o più). I rischi paventati sono soprattutto diminuzione della cultura aziendale, problemi di comunicazione, coesione dei team di lavoro, rischi per la sicurezza e isolamento dei dipendenti. Nell’indice globale del lavoro a distanza i primi in classifica sono Germania, Danimarca, Usa, Spagna e Lituania (l’Italia è 25esima su 66 Paesi). In questa nuova dimensione planetaria il lavoro in remoto attiva la gentrificazione delle periferie e degli hinterland svuotando le metropoli già in sofferenza per caro vita e degrado sociale, ricompone modelli di vita individuale e collettiva che potrebbero sfociare in nuove forme di democrazia e in ridisegnati assetti geopolitici, si aggiorna con la formazione a distanza e continua, sembra aiutare la sostenibilità del pianeta. I numeri positivi e negativi delle impronte ecologiche dell’home working non riescono ancora a comporre un bilancio finale convincente, piuttosto alquanto schizofrenico: ogni anno si risparmiano circa 247 trilioni di fogli di carta lavorando fuori dall’ufficio; lavorando da casa il lavoratore medio riduce la propria impronta di carbonio di quasi una tonnellata; lavorare da casa 4 giorni a settimana ridurrebbe di circa il 10% la quantità di biossido di azoto, che è il principale inquinante generato dalle emissioni del traffico (citato spesso il virtuoso esempio dei lavoratori della Xerox che risparmiano 148 milioni di chilometri di guida lavorando a casa, ovvero 41mila tonnellate di CO2 in meno); al contrario chi viaggia per lavoro crea circa il 50% delle emissioni di anidride carbonica del trasporto aereo e, a conti fatti, sono 34,3 milioni di tonnellate le emissioni di gas serra (dovute alla climatizzazione di centinaia di milioni di abitazioni) prodotte nel 2021 col telelavoro. Il lavoro da casa vuole vantarsi del salvataggio del pianeta, delle aziende, del tempo libero, delle famiglie e della libertà individuale, millantando un assetto globale versione 6.0 (il 5.0 è in mano all’intelligenza artificiale) composto da miliardi di lavoratori immobili. Migranti di sé stessi. Di Edoardo Fleischner

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