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Negozi, conviene ancora aprirli in Italia?

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Partiamo subito da una premessa. La crisi dei negozi esiste ed è molto forte. Chi fa la scelta di aprirne uno sa di correre un rischio

Negozi, conviene ancora aprirli in Italia?

Partiamo subito da una premessa. La crisi dei negozi esiste ed è molto forte. Chi fa la scelta di aprirne uno sa di correre un rischio

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Negozi, conviene ancora aprirli in Italia?

Partiamo subito da una premessa. La crisi dei negozi esiste ed è molto forte. Chi fa la scelta di aprirne uno sa di correre un rischio

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Partiamo subito da una premessa. La crisi dei negozi esiste ed è molto forte. Chi fa la scelta di aprirne uno sa di correre un rischio. Ma è altrettanto vero che l’evoluzione delle cose rende mutevole anche questo dato di fatto. Chiunque abiti in una città o in un paese è probabile che nella vita si sia affezionato a un bar, a un panettiere o a un negozio di abbigliamento. In generale il negozio è una zona di conforto, non è quasi mai soltanto un luogo in cui vengono esposte e vendute delle merci. Negli esercizi commerciali si crea un legame, un rapporto di confidenza, a volte vi si entra senza una vera ragione.

Aprire un negozio fisico di questi tempi è complicato. Per uno che viene aperto, altri tre chiudono. Lo scorso anno sono state avviate 23.188 nuove attività e ne sono state chiuse 61.634 (dato di Confesercenti). Le ragioni riguardano un cambio di abitudini dei consumatori, l’aumento dell’e-commerce, la concorrenza dei grandi centri commerciali, l’aumento dei costi operativi e il relativo caro prezzi.

Un’attività commerciale che ha un rapporto diretto con il cliente è più vulnerabile a fattori esterni e il Covid ne è stato l’esempio più eclatante. L’acquisto online offre la comodità e talvolta la convenienza del prezzo, ma in questi ultimi anni ha evitato a tante persone la ‘fatica’ della relazione: un disturbo psicologico che oggi va attenuandosi, dimostrando che le circostanze non sono eterne e anzi variano molto in fretta. Oltre alle conseguenze di un evento, a determinare il successo di un esercizio commerciale sono anche la posizione e il luogo scelto per far funzionare i propri affari. La progettazione di questa attività ha bisogno di un business plan, che però viene predisposto soltanto da una minoranza. Pianificare i costi dell’affitto, dell’allestimento del locale, dell’acquisto della merce, delle utenze e del personale è fondamentale. Il margine lordo – che rappresenta il profitto (deducendo le spese operative) – è in genere compreso tra il 45 e il 55%.

La crisi dei negozi è dunque irreversibile? Il rischio che si vada verso una desertificazione commerciale è serio. Nell’immediato futuro non sarà così, ma è evidente che già oggi i nuovi spazi aperti appartengano soprattutto a grandi catene. A questo proposito il fenomeno dei “Temporary store”, nati all’inizio degli anni Duemila, è paradossalmente tutt’altro che temporaneo. Si tratta anche in questo caso di un modello conveniente per le grandi marche, che lo utilizzano per testare prodotti e sperimentare esperienze. C’è poi il franchise, che si appoggia a un marchio riconosciuto e con una riduzione del rischio, ma non significa che funzioni per tutti. Infine il modello ibrido che sta tenendo a galla molti esercizi: l’integrazione tra negozio fisico e digitale, noto anche come phygital retail. In estrema sintesi si crea una piattaforma per l’e-commerce, si cerca una clientela che può arrivare dal proprio sito, insieme a un profilo social che pianifica una strategia editoriale per farla ‘atterrare’ nel negozio fisico o sul proprio canale, aumentando esponenzialmente il raggio d’azione.

Gli esercizi commerciali non paiono comunque destinati a morire, quanto piuttosto a ridursi di numero e con un’ibridazione con altre forme di vendita. Questo non significa però che non rimpiangeremo i cari, vecchi negozi di un tempo.

di Lapo De Carlo

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