Il ricatto del gas russo
Il ricatto del gas russo
Il ricatto del gas russo
La guerra del gas è già scoppiata. Non con la brusca interruzione delle forniture a Polonia e Bulgaria, accelerazione voluta dal Cremlino per far pressione sull’Unione europea cominciando da due dei Paesi anche geograficamente più esposti, ma con il durissimo confronto innescato dall’irricevibile richiesta russa di farsi pagare le forniture in rubli. Vladimir Putin sa benissimo, anche perché gli è stato detto chiaro da diversi leader compreso il presidente del Consiglio Mario Draghi, che l’Europa non vuole e non può accettare il ricatto legato al giochino dei doppi conti – in euro e in rubli – che il Cremlino vorrebbe imporre di aprire in Russia per ottenere un duplice risultato: continuare a far affluire valuta pregiata e convertirla in rubli, in modo da sostenere la moneta russa nel mirino delle sanzioni. Un po’ troppo, persino per un uomo dall’ego fuori controllo come lo zar.
Il ricatto non può funzionare e forse a Mosca non si sono mai neppure particolarmente illusi, ma hanno deciso di compiere il passo successivo chiudendo i rubinetti verso Polonia e Romania. Un avvertimento dal sapore vagamente mafioso, rivolto a tutti noi europei. In particolar modo tedeschi e italiani, principali destinatari delle gigantesche forniture energetiche russe e grandi pagatori. Il cancelliere tedesco Scholz, del resto, ha ripetuto ancora ieri che è sua responsabilità ricordare che «non possiamo permettere l’embargo del gas, anche perché comunque non fermerebbe la guerra». Si colpiscono Sofia e Varsavia, dunque, per far paura a Berlino (e un po’ la cosa sembra riuscire), Roma e Bruxelles. Un modo per andare a vedere le carte dell’avversario, per saggiarne la tenuta psicologica, la capacità di reazione e scoprirne eventuali bluff.
Forse, sotto sotto, dovremmo persino ringraziare Putin di questa mossa, perché potrebbe sgomberare il campo dagli ultimi equivoci e costringere l’Unione e i Paesi più recalcitranti della necessità di fare i conti con la realtà. Prima o poi – forse prima che poi – al gas di Putin dovremo rinunciare per forza, magari direttamente per mano russa. Ancora una volta (sarà forse il caso di riconoscere la progressiva crescita politica di Ursula von der Leyen) la più veloce a reagire è stata la presidente della Commissione europea, dichiarando che «l’annuncio di Gazprom è l’ennesimo tentativo della Russia di utilizzare il gas come strumento di ricatto. Questo è ingiustificato e inaccettabile. Abbiamo lavorato per garantire consegne alternative e i migliori livelli di stoccaggio possibili in tutta l’Ue». Leggendo in filigrana, la von der Leyen ha duramente respinto al mittente il ricatto russo – e ci mancherebbe pure – ma soprattutto ha parlato agli Stati membri. Quasi invocando quel Consiglio europeo che dovrebbe infine varare alcuni princìpi fondamentali per vincere la guerra del gas. Innanzitutto, un sistema di acquisti e stoccaggio comune che metta al riparo i singoli Paesi membri da operazioni come quelle contro Polonia e Bulgaria. In particolare, poi, il varo del tetto al prezzo del gas. Il price cap, proposto da Draghi il giorno dopo lo scoppio della guerra, è l’arma più potente in mano agli europei. Solo che non abbiamo ancora deciso di usarla, mentre il prezzo del gas va alle stelle dopo l’annuncio di Gazprom.
Superare antiche ritrosie di principio sulla federalizzazione di spese e investimenti resta difficile per tanti, nonostante la guerra. Solo che adesso olandesi e tedeschi, ma non solo loro, farebbero bene a ‘leggere’ con estrema attenzione le mosse russe. La guerra del gas è senza quartiere, come il conflitto scatenato in Ucraina e finanziato proprio con i proventi delle materie prime. Nell’ottica russa, non si fanno prigionieri. Si accetta il loro diktat e si diventa in qualche misura uno strumento di Putin o si è nemici. Dichiarati.
di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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