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La danza dei dazi e il risveglio dell’Europa

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Dazi al 30% sono semplicemente fuori dalla realtà e non c’è nulla che possa richiamare il tema della reciprocità

La danza dei dazi e il risveglio dell’Europa

Dazi al 30% sono semplicemente fuori dalla realtà e non c’è nulla che possa richiamare il tema della reciprocità

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La danza dei dazi e il risveglio dell’Europa

Dazi al 30% sono semplicemente fuori dalla realtà e non c’è nulla che possa richiamare il tema della reciprocità

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La cosa più sciocca da farsi è disputare sull’approccio morbido e avvolgente o duro e vociante alla dissennatezza dei dazi trumpiani. Quello è un bidone il cui sgradevole contenuto creerà più danni agli Stati Uniti, nuocendo allo sviluppo e alla libertà dei consumi prima da noi e poi da loro, ma intaccando l’affidabilità più di là che di qua. Eppure, dietro quell’inesistente diversità d’approccio, c’è una questione politica che segnala una novità. Con riflessi anche elettorali.

Dazi al 30% sono semplicemente fuori dalla realtà e non c’è nulla che possa richiamare il tema della reciprocità. Pura arroganza. Se la partenza è il 30%, anche negoziare – piatendo o vociando – serve a poco giacché seppure si scendesse di 5 o 10 punti si resterebbe fuori dalla realtà. Il consumatore americano non sensibile al prezzo continuerà a grattare il Parmigiano e a bere l’Amarone, pagandoli di più; agli altri sarà tolta questa possibilità. Il malato ricco continuerà a usare i farmaci da noi prodotti, per gli altri sarà suggerito uno dei predicatori invasati che li indirizzi al trapasso. Sulle prime sembrerà che arrivino soldi nelle casse americane, ma presto finirà l’illusione. Trump, da sei mesi, non ottiene niente. Ha sbracato anche con la Cina e nel mese di giugno le esportazioni di Pechino negli Usa sono cresciute del 32,4%. Altro che riportare le produzioni entro i confini.

Ma i soldi incassati con i dazi, che forse credono di potere usare per far scendere la pressione fiscale all’interno, saranno poca cosa rispetto all’aumento del costo dell’enorme debito pubblico. Il dollaro scende, il rischio sale, i tassi anche e i soldi dei dazi non compenseranno questa perdita. Poco ne cale agli americani che scappano dal dollaro e comprano criptovalute – magari vendute dalla famiglia del presidente (roba da matti) – ma gli equilibri americani ne risentiranno eccome. In quanto alle Borse, la situazione è paradossale: se si crede agli annunci crollano e se non crollano non è perché apprezzano gli annunci, ma perché non ci credono.

E noi europei? Negoziamo, che altro si può fare? Non abbiamo messo noi il disco di questa danza forsennata. Il punto è che negoziando non serve neanche cedere: si è concessa la cancellazione della global tax – una miseria al 15% – e non si è avuto in cambio nulla. A questo punto siamo noi ad avere interesse a guadagnare tempo, tanto il danno dell’incertezza è già stato incassato. Non c’è ragione di cedere sulle norme sanitarie relative all’importazione di alimentari americani, compresa la bresaola agli ormoni affettata da chi voleva farsi credere paladino della nostrana genuinità. Non c’è ragione di cancellare regole per il mercato digitale. Dobbiamo correre a chiudere nuovi accordi con aree di libero scambio, in altre parti del mondo. La morbidezza formale e la fermezza sostanziale non sono in contraddizione. A meno che non si voglia fare gli imitatori del trumpismo, nel qual caso sono in vendita ottimi costumi da supereroi.

Ma attenzione a una mutazione, che spiega alcuni toni un po’ più alti. Siamo abituati a percepire l’antiamericanismo come la manifestazione di un sentimento antioccidentale e, in fondo, antidemocratico. Il comunista della nostra gioventù guardava con fiducia a Mosca e con ostilità a Washington (ma sbavava per New York), ora un antieuropeista guarda con pari devozione a Mosca e Washington. Magari imbarazzato dai morti e dall’aggressione daziaria, ma con gli occhi dolci verso il dominatore che ha sempre sognato. Ciò comporta l’emergere di un soggetto prima di nicchia e ora possibile interprete del tempo: l’europeista antiamericano. Una bestemmia per gli atlantisti, talora anche interpretata da trasformisti, ma comunque uno spazio d’umore che sarà anche elettorale. E questo aiuta a capire certi toni che s’induriscono e bazooka che compaiono.

L’europeismo diventa combattente. Con la sinistra italiana riprecipitata nel suo passato pre europeista. Cambia poco sul fronte immediato dei dazi, ma cambia nel mercato elettorale.

Davide Giacalone

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