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L’aria dell’Esg

Oggi per le società essere Esg non è più un’opzione, eppure all’ultimo seminario sul tema tenutosi al Salone del Risparmio non c’era nessuno
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L’aria dell’Esg

Oggi per le società essere Esg non è più un’opzione, eppure all’ultimo seminario sul tema tenutosi al Salone del Risparmio non c’era nessuno
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L’aria dell’Esg

Oggi per le società essere Esg non è più un’opzione, eppure all’ultimo seminario sul tema tenutosi al Salone del Risparmio non c’era nessuno
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Oggi per le società essere Esg non è più un’opzione, eppure all’ultimo seminario sul tema tenutosi al Salone del Risparmio non c’era nessuno
Si è chiusa da pochi giorni la tredicesima edizione del Salone del Risparmio, celebrata passerella milanese dell’industria del risparmio gestito dove tutti i gestori vanno a raccontare dei propri successi, dimentichi degli innumerevoli insuccessi e tacendo delle fregature tirate ai risparmiatori.  Uno dei punti su cui il settore dibatte di più a livello globale e su cui vi è convergenza – oltre al concetto di spremere il cliente in ogni modo – è quello indicato dall’acronimo Esg ovvero Ecologia, Società e Governance. Non c’è infatti casa d’investimento che non voglia apparire sensibile a tali temi, almeno a parole. E così i fondi e i prodotti Esg si moltiplicano esponenzialmente. Nel settore è diventata un’ovvietà dichiararsi Esg, nonostante tutti continuino a comprare le società di sempre che, a loro volta, continuano (per fortuna) a produrre le merci di sempre che – nel rispetto delle leggi e non dell’etica un tanto al chilo – il mercato sempre richiede: dal tabacco alle armi, passando per “Playboy” e del buon whisky.  Per rispettare dei princìpi Esg ci sono due strade: la più seria consiste nel definire i propri princìpi e parametri e chiedere alle società quotate o ai gestori di cui ci si avvale di garantirne il rispetto. La seconda, che non vale nulla, consiste nell’affidarsi ai rating elaborati dalle società emittenti quotate, il che equivale a chiedere all’oste se il vino sia buono. Infatti dichiararsi Esg senza aver prima definito dei parametri precisi con cui confrontarsi a livello globale significa banalizzare il problema e renderlo un luogo comune con cui riempirsi la bocca e le pagine dei siti Internet.  Oggi essere Esg non è più neppure un’opzione ma è sostanzialmente un obbligo: la Banca d’Italia, aderendo alle normative europee sul tema, ha chiesto a tutti i soggetti regolati di definire una propria policy in base alla quale darsi degli obiettivi Esg. Cioè bisogna essere buoni per forza e stare al gioco. E chi non lo fa deve dichiararlo sui propri documenti ufficiali. Come dire: siamo tutti per la pace nel mondo, a prescindere; chi non lo è lo scriva sulla propria carta intestata.  Le società di gestione e gli emittenti producono dei loro rating in base ai quali misurano il livello di bontà Esg. Per quanto bistrattati siano, i rating a tutt’oggi riscontrano il favore dell’industria, semplificandone e confondendone il lavoro. E il perché è ovvio: senza una loro sistematizzazione e standardizzazione, i rating sono mera aria fritta. Darne uno altissimo a chi diminuisce dell’1% le proprie emissioni di CO2 o il proprio livello d’inquinamento porta a conclusioni di comodo e ritagliate su misura al caso proprio.  È forse per questo che al seminario sul tema Esg l’affluenza non è stata di quelle oceaniche (non c’era nessuno). E pensare che parlava un interlocutore cruciale e importantissimo per la Borsa italiana – Enel – che con il nuovo corso sembra voler rimettere in discussione la strategia delle rinnovabili. Evidentemente i nostri gestori avevano altro da fare che andare ad ascoltare Enel dibattere di Esg. Palesemente, una volta indossata la foglia di fico dei rating e appuntata l’etichetta Esg sulla giacca, questo è il vero interesse per il tema da parte dei gestori: nessuno. Ed è cosi che l’oratore si è trovato a parlare a vuoto e al vuoto.  L’unica domanda che sorge spontanea è riguardo l’unico astante, il solo popolante la platea: cosa lo avrà portato a resistere stoicamente in mezzo a tale desolazione? Che stesse dormendo e non si è accorto? Che sia stato mandato da Enel stessa a controllare il proprio oratore, in difficoltà con il nuovo corso nucleare di Scaroni? Che non avesse voglia di andare in mensa per un pranzetto vegano, secondo le migliori prescrizioni Esg? O forse era un risparmiatore morto di dolore e che nessuno ha soccorso.  Di Bancor

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