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Risparmi e debiti

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La partita è soltanto agli inizi, la disposizione delle truppe mostra però la difficoltà degli assalitori a trovare il passaggio per espugnare il fortilizio Mediobanca-Generali

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La partita è soltanto agli inizi, la disposizione delle truppe mostra però la difficoltà degli assalitori a trovare il passaggio per espugnare il fortilizio Mediobanca-Generali

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Risparmi e debiti

La partita è soltanto agli inizi, la disposizione delle truppe mostra però la difficoltà degli assalitori a trovare il passaggio per espugnare il fortilizio Mediobanca-Generali

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Con una prosa insolita per quell’ambiente che Enrico Cuccia voleva felpato, il CdA di Mediobanca non si è limitato a respingere l’offerta pubblica di scambio di Montepaschi, considerata ostile e distruttrice di valore. Ha scelto di dare nome e cognome a due soci, Delfin e Caltagirone, i cui interessi sono da considerare «disomogenei» essendo contemporaneamente azionisti di Mps, Mediobanca e Generali. Non ci vuole molta fantasia per decrittare la motivazione vera, a stento nascosta in quelle righe: Mediobanca non si piega all’assalto della politica e della presidente del Consiglio. Delfin e Caltagirone, insomma, sono i due veicoli usati da Meloni per allungare le mani su Piazzetta Cuccia e da lì rimbalzare fino a Trieste per il boccone più grosso.

La partita è soltanto agli inizi, la disposizione delle truppe mostra però la difficoltà degli assalitori a trovare il passaggio per espugnare il fortilizio Mediobanca-Generali. Dal giorno dell’annuncio Mps ha perso intorno al 14%, con il che l’offerta di 23 azioni contro 10 non incorpora più il premio del 5% ma diventa a sconto di oltre il 12%. Dopo appena quattro giorni lo scenario appare terremotato, confermando così lo scetticismo che gli analisti hanno manifestato fin dalla prima ora.

Gli eredi di Leonardo Del Vecchio e il costruttore Franco Gaetano Caltagirone hanno guadagnato – del tutto legittimamente – alcuni milioni di euro in Borsa nella giornata di venerdì. Come soci del Monte Paschi di Siena, e quindi scalatori di Mediobanca, hanno perso soldi. Come soci di Mediobanca, quindi nella veste di ‘scalati’, ne hanno guadagnati un bel po’. Sono andati in pari lunedì, perdendo su Mps quel che hanno guadagnato in Mediobanca. Lo Stato italiano, come socio soltanto del Monte, ha fatto perdere circa 70 milioni ai contribuenti. E altri ne ha persi lunedì.

Come possono crearsi sinergie fra due istituti con storie tanto diverse, con attività tanto differenti, con quadri e dirigenti cresciuti secondo attitudini per certi versi inconciliabili, sono i punti su cui si sono soffermati gli osservatori. La vigilanza europea, e quindi quella domestica di Bankitalia, farà chiarezza su un’operazione che presenta qualche interrogativo per quanto riguarda la sua conformità alle regole europee e a quelle del mercato. La prima: possono derivare squilibri di sistema dal fatto che una banca che capitalizza 8 miliardi voglia scalarne un’altra che ne capitalizza 14? Fra gli azionisti di Mps c’è anche lo Stato, titolare dell’11,5%, intervenuto nel 2016 per ricapitalizzare Mps. Sarebbe dovuto uscirne a missione compiuta. Non lo ha fatto, violando così la natura di ‘temporaneità’ che la presenza pubblica doveva avere nella ricapitalizzazione precauzionale. A distanza di 9 anni, lo Stato è sempre lì. Si è scelta un’altra strada. Si è preferito invocare una fantomatica tutela del risparmio degli italiani (o del debito pubblico?) per affermare un ‘sovranismo bancario’ senza capo né coda. Con la prospettiva, per niente esaltante, di riportare una larga fetta del sistema del credito sotto l’ala protettiva della politica.

Mps è una banca convalescente, mai stata però sul punto di essere liquidata. Oggi ha ritrovato un equilibrio patrimoniale, sia pure continuando a soffrire di una pesante arretratezza tecnologica. La sfida lanciata a Mediobanca – legittima e in linea con le direttive europee – è insieme un segnale positivo per il mercato ma anche di debolezza della politica, che ama rinchiudersi nel fortilizio al di qua delle Alpi invece di affrontare la navigazione in un’Europa ricca di opportunità. Per dire: di fronte alla scalata tentata da UniCredit e respinta da Commerzbank la presidente Meloni avrebbe dovuto prendere l’aereo, volare a Berlino e tentare di convincere Olaf Scholz sulla convenienza di quel matrimonio per entrambi i Paesi. Così faceva Helmut Kohl, negli anni Novanta. Certo, il presupposto era allora lo stesso di oggi: avere fiducia e credere nel futuro dell’Unione europea.

Senza l’uscita definitiva dello Stato dal suo capitale, l’Ops di Montepaschi è destinata a perturbare il sistema bancario ben oltre le intenzioni di Lovaglio e Giorgetti. La Commissione europea dice che si può fare, ma non tutto quello che si può è anche vantaggioso fare. A meno di non trovarsi nella posizione di Delfin e di Caltagirone.

di Massimo Colaiacomo

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