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Dopo la fanfaronata e gli strilli sembrerà strano leggerlo, ma il Mes è in vigore, anche in Italia, e non è stato affatto bocciato
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Dopo la fanfaronata e gli strilli sembrerà strano leggerlo, ma il Mes è in vigore, anche in Italia, e non è stato affatto bocciato

Dopo la fanfaronata e gli strilli sembrerà strano leggerlo, ma il Mes è in vigore, anche in Italia, e non è stato affatto bocciato. Non ci sono soldi da chiedere indietro e non ci sarebbero stati soldi da dare. La libertà di parola non divenga solo parole in libertà. Ciò non significa che non sia successo nulla, perché il guaio c’è ed è grosso.

Il Meccanismo europeo di stabilità era ed è attivo, approvato e ratificato. Risale al 2011, governo Berlusconi, con Lega e Meloni ministro. La riforma negoziata dal primo governo Conte, ministro dell’Economia il prof. Giovanni Tria, con la Lega in maggioranza, si riferisce a una integrazione di sicurezza, che non serve – come si dice con linguaggio zotico – a “salvare le banche”, semmai a difendere gli interessi dei cittadini che depositano i loro soldi in banche che poi dovessero avere dei problemi. È questo l’aspetto che deve essere ratificato, posto che è già stato firmato dall’Italia, avendo il governo ricevuto in tal senso un mandato dal Parlamento. Questa parte del Mes non è stata ‘bocciata’ dal voto di giovedì. Proprio per niente.

L’Aula della Camera ha condiviso un parere negativo della Commissione parlamentare, negativo non sul Mes – che neanche era in discussione – ma sulla legge di conversione, osservando che fosse «carente di meccanismi idonei a garantire il coinvolgimento del Parlamento per la richiesta di attivazione» del Mes. Al netto dell’italiano claudicante, significa che non va bene quella specifica legge di conversione, perché escluderebbe alcune competenze parlamentari. Tanto non è vero che è stato ‘bocciato’ il Mes che Mario Monti suggerisce: presentate un’altra legge di ratifica. Questi aspetti formali sono inaggirabili e non smentibili. Poi c’è la sostanza.

Non si è trattato di una svista, ma di una cosa fatta intenzionalmente. Giorgia Meloni ha voluto quel voto perché non è stata capace di reggere la pressione dopo avere varato due importanti patti europei – sull’immigrazione e sulla stabilità – che comportano vincoli imparagonabilmente maggiori della riforma Mes; non ha retto la concorrenza della Lega, che puntava a darle tutta la responsabilità di una ratifica ovvia, scontata e normale, ma pur sempre l’opposto di quel che avevano raccontato agli elettori; non ha retto il mugugno che la descriveva come incoerente. Ritenendosi in campagna elettorale, non ha retto. Ma ha sottovalutato le conseguenze.

Sul piano europeo l’Italia perde credibilità. Chi parla di Nazione gonfiando il petto ha scelto di mostrarla inaffidabile, bloccando per tutti quel che tutti, noi compresi, avevano approvato. Brutta roba, nella stagione in cui l’Italia è la più favorita dai contributi europei. Roba che costerà. Il governo può rispondere: non è così, perché abbiamo approvato quel che è immediatamente operativo, accettato vincoli immediatamente efficaci e ci siamo presi una copertura d’immagine su quel che non ha riflessi immediati. Vero, ma sottovaluta il crollo di credibilità: del governo, dei ministri e dell’Italia.

Sul piano interno la propagandistica trovata dimostra l’irrilevanza di Forza Italia – il ministro degli Esteri e vice presidente del Consiglio aveva assicurato la ratifica – il che scatenerà gli scontri interni a quel partito e costringerà anche i più mansueti ad agitarsi. Se poi le elezioni europee dovessero comportare una delusione per i forzisti, la maggioranza risulterebbe non soltanto divisa ma anche spappolata. Le leve del potere – e del sottopotere – servono bene ad ammansire qualche presunto capo, ma non hanno mai risolto questo genere di problemi politici. Che, magari, si manifestano nei contesti più inattesi. Colare a causa del Mes è da stolti.

Meloni ha avuto paura di sé e di quel che aveva fatto, pensando così di rimediare e somigliando un po’ di più a quel che fu. Ma rifiutando un vincolo immaginario dopo avere accettato vincoli reali, espone l’Italia a molti rischi e alla conferma del luogo comune che noi si sia il Paese delle giravolte. O Nazione, se preferisce.

di Davide Giacalone

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