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Occasioni perdute e telefonia cellulare in Italia

Tra grandi aziende telefoniche in manovra per contendersi l’80% del mercato mobile e una ventina di piccoli operatori, l’Italia è in marcia verso il consolidamento. Ma in ritardo

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Occasioni perdute e telefonia cellulare in Italia

Tra grandi aziende telefoniche in manovra per contendersi l’80% del mercato mobile e una ventina di piccoli operatori, l’Italia è in marcia verso il consolidamento. Ma in ritardo

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Occasioni perdute e telefonia cellulare in Italia

Tra grandi aziende telefoniche in manovra per contendersi l’80% del mercato mobile e una ventina di piccoli operatori, l’Italia è in marcia verso il consolidamento. Ma in ritardo

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Tra grandi aziende telefoniche in manovra per contendersi l’80% del mercato mobile e una ventina di piccoli operatori, l’Italia è in marcia verso il consolidamento. Ma in ritardo

Tra grandi aziende telefoniche in manovra per contendersi l’80% del mercato mobile e una ventina di piccoli operatori, l’Italia è in marcia verso il consolidamento, anche se in ritardo rispetto al resto del mondo. Per il Belpaese risulta però difficile recuperare il terreno perduto dopo i molteplici errori commessi in passato, tra deleterie e sconsiderate privatizzazioni (tipo ‘nocciolino’ di Telecom Italia) e improbabili ‘capitani coraggiosi’ di dalemiana memoria. L’ultima mossa è stata l’acquisizione – a multipli elevati – del leader Vodafone Italia da parte della svizzera Fastweb, la società (all’epoca e.Biscom) fondata nel luglio del 1999 da Silvio Scaglia e poi ceduta a Swisscom. In precedenza il giovane ingegnere – già con una robusta esperienza internazionale – era stato ceo di Omnitel pronto Italia: l’azienda aveva vinto la gara per le frequenze rompendo il monopolio.

Per capire il mercato può essere utile un’analisi, tecnica solo in apparenza. In Italia i big del cellulare sono quattro: Tim, Vodafone (appena acquisita da Fastweb), Wind-Tre, Iliad. Possiedono la rete, acquistano le frequenze dal regolatore e hanno la sigla Mno (Mobile Network Operator). In nome della concorrenza sono stati obbligati ad aprire le proprie frequenze. È quindi nata una classe di organizzazioni più piccole chiamate ‘virtuali’, perché non possiedono la rete ma la affittano dai grandi brand e propongono tariffe estremamente basse. Si tratta dei Mobile Virtual Network Operator (Mvno). Alle volte sono indipendenti, ma spesso marchi collaterali delle principali società leader, gestiti però con logiche di marketing molto diverse dal brand principale. A loro volta gli operatori virtuali sono classificati a seconda della tipologia di servizi che offrono. Un “Full Mvno” gestisce interamente il servizio in maniera molto simile a un grande marchio: utilizza proprie strutture di commutazione (cioè indirizzamento) ed è in grado di emettere e convalidare le carte Sim. Si tratta del modello più complesso e costoso, ma anche di quello che lascia maggior libertà all’azienda per gli accordi di roaming. Invece una società “Esp Mvno” (dove Esp sta per Enhanced Service Provider) non possiede alcuna infrastruttura tranne quelle per la commercializzazione, la fatturazione e la fornitura di servizi a valore aggiunto. Non ha una numerazione propria e non può emettere carte Sim. Si tratta del modello più diffuso in Italia.

Il mondo telefonico è complesso ed è difficile soffermarsi su un unico Paese. Tim ha venduto la rete al fondo Kkr per 18 miliardi di euro. La principale società europea (Deutsche Telekom) è quasi dieci volte più grande di Tim, ma in generale il mercato è balcanizzato. Lo scenario è complicato dal fatto che i grandi nomi sono minacciati da piccole e agili compagnie low cost come Iliad, intenzionata a fare la voce grossa. In Europa ci sono 45 operatori, contro 8 americani, 4 giapponesi, 4 cinesi e 3 coreani. Un’anomalia che non può durare a lungo.

di Franco Vergnano

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