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Il Pnrr è a rischio

Il Pnrr è a rischio, lo conferma il ministro Fitto. Quale credibilità resterebbe, se dovessimo mancare ai nostri impegni? Lasciamo a voi la scontatissima risposta
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Il Pnrr è a rischio, lo conferma il ministro Fitto. Quale credibilità resterebbe, se dovessimo mancare ai nostri impegni? Lasciamo a voi la scontatissima risposta
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Il Pnrr è a rischio, lo conferma il ministro Fitto. Quale credibilità resterebbe, se dovessimo mancare ai nostri impegni? Lasciamo a voi la scontatissima risposta
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Il Pnrr è a rischio, lo conferma il ministro Fitto. Quale credibilità resterebbe, se dovessimo mancare ai nostri impegni? Lasciamo a voi la scontatissima risposta
Il Pnrr è a rischio. Nell’afflusso dei fondi previsti per arrivare al totale di 195 miliardi di euro, ma anche nello spirito stesso che dovrebbe garantire al Paese uno scatto strategico – soprattutto in termini di modernizzazione – per affrontare il futuro a medio e lungo termine. Non stiamo parlando del destino di questo o quel partito, di una maggioranza piuttosto che di un’altra e ancor meno dei singoli protagonisti della scena politica italiana. Apprezzabile, tanto per essere chiari, che il ministro competente Raffaele Fitto abbia lanciato un allarme forte e chiaro sul destino del Piano nazionale legato al Next Generation Eu, come è solare l’umanissimo istinto a conservare le proprie prerogative ed estinguere le relative responsabilità nel caso di malaugurato disastro generale. Perché, se falliamo nel Pnrr, non si salva nessuno. È l’Italia a perdere un treno che passa una volta sola. Che peso potremmo mai avere, dopo un simile default (sia mai), con la Commissione europea e in generale con le istituzioni comunitarie? Quale credibilità resterebbe, se dovessimo mancare ai nostri impegni? Lasciamo a voi la scontatissima risposta. Il Pnrr è stato reso possibile dalle caratteristiche e dall’impianto generale del Next Generation Eu, il piano varato dalla Commissione e dai capi di Stato e di governo dei 27 sulla base di un programma studiato sin nei minimi dettagli. Sia nella raccolta dei fondi necessari al sostegno dei Paesi che vi hanno aderito, sia nel sacrosanto sistema di verifica e controllo delle spese. È semplicemente impensabile che l’Italia, dopo aver ricevuto cospicue emissioni dei fondi del Next Generation Eu e in attesa di altre due tranche programmate fra la fine del 2022 e la metà del 2023, si presenti a Bruxelles per dire: «Scusate, ci siamo sbagliati, dobbiamo distribuire e utilizzare le risorse in modo radicalmente diverso rispetto a quanto previsto e approvato». Non perché sia concettualmente vietato discutere le decisioni prese in sede comunitaria, ma perché a quelle decisioni abbiamo lungamente partecipato, diventandone poi i principali beneficiari. Il che non comporta assumere alcun atteggiamento passivo o, peggio, ossequioso, ma neppure mostrarsi pericolosamente ondivaghi e inaffidabili. Non c’è giorno che passi senza un appello disordinato e fuori contesto sul Pnrr, basti pensare che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dovuto chiarire che con l’aiuto alle popolazioni e alle imprese alluvionate in Romagna il Next Generation Eu non c’entra nulla e si farà ricorso ai Fondi di solidarietà europei. La stessa Confindustria ha chiesto che le risorse vengano affidate direttamente alle imprese e a quel punto, escludendo che in Viale dell’Astronomia non si conoscano i dettagli del Next Generation Eu, non resta che pensare a una scelta lucida ma non per questo meno ‘avventurosa’ da parte dei leader degli industriali. Una richiesta semplicemente impossibile, perché in contraddizione con l’intero impianto del provvedimento. Reso possibile dalle tasse pagate dai cittadini europei, dettaglio che ogni tanto converrebbe ricordare quando si parla un po’ a casaccio di Pnrr. Appare ormai evidente che sia necessario l’intervento di Giorgia Meloni in persona, per porre un argine a una deriva ancora controllabile ma già sufficientemente pericolosa per i nostri destini. In questa partita, infatti, non è in gioco un governo o una maggioranza, semmai un giudizio storico. Non appaia esagerato a neppure otto mesi dalla nascita dell’esecutivo: le circostanze, la sorte, il destino – fate un po’ voi – hanno messo nelle mani di questa classe politica le sorti di un Piano in grado di indirizzare in un senso o nell’altro il futuro di una delle grandi potenze industriali del mondo. Così è e l’unico elemento in grado di fare la differenza resta il senso di responsabilità. di Fulvio Giuliani

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