Protezioni e assuefazioni
| Economia
Molti sono convinti che la mazzata portata dalla pandemia abbia spinto più aziende del passato verso il fallimento. In realtà, come si legge in una nota pubblicata dalla Banca d’Italia, le uscite dal mercato sono diminuite. Complici anche le misure di sostegno.

Protezioni e assuefazioni
Molti sono convinti che la mazzata portata dalla pandemia abbia spinto più aziende del passato verso il fallimento. In realtà, come si legge in una nota pubblicata dalla Banca d’Italia, le uscite dal mercato sono diminuite. Complici anche le misure di sostegno.
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Protezioni e assuefazioni
Molti sono convinti che la mazzata portata dalla pandemia abbia spinto più aziende del passato verso il fallimento. In realtà, come si legge in una nota pubblicata dalla Banca d’Italia, le uscite dal mercato sono diminuite. Complici anche le misure di sostegno.
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AUTORE: Gaia Cenol
Molti sono convinti che la mazzata portata dalla pandemia abbia spinto più aziende del passato verso il fallimento o, comunque, l’uscita dal mercato. È vero il contrario, come si può leggere in un dettagliata nota, scritta da Tommaso Orlando e Giacomo Rodano e pubblicata dalla Banca d’Italia. Sono diminuiti i fallimenti, come anche le chiusure, le uscite dal mercato.
Ciò, però, si deve sia alla sospensione delle procedure, disposta per i primi tempi della pandemia, sia alle misure di sostegno, che hanno rallentato gli effetti della recessione. Guardare dentro questa realtà aiuta a capire meglio la natura del nostro sistema produttivo, mentre guardarne i costi collettivi impone di evitare l’errore secondo cui sussidi e ristori possano essere una specie di ammortizzatore permanente.
Per chiudere non si deve necessariamente fallire, mentre fallendo sicuramente si chiude.
I due fenomeni vanno distinti, ma dal punto di vista del venire meno delle aziende possono essere affiancati. Il picco di fallimenti e chiusure s’è raggiunto fra il 2013 e il 2014, poi scendendo fino al 2019, quando risale. Il ribasso del 2020 ha le cause Covid prima ricordate. A fallire sono, per più della metà, le aziende con meno di 5 dipendenti, che diventano l’85% fra quelle che chiudono comunque. La cosa ha un senso, visto che in quel grande vivaio si raccoglie maggiore elasticità e minore solidità. Si fallisce e si chiude, per quasi la metà del totale, più al Nord che al Centro o al Sud.Anche questo è ragionevole, visto che al Nord ci sono più aziende e visto che – grave errore dimenticarlo – ogni anno aprono più aziende di quante chiudano, quindi il ricambio è maggiore dove c’è maggiore elasticità.
Sarà un bel giorno quando al Sud ci saranno più fallimenti, posto che le aperture siano più numerose. Si fallisce e chiude prevalentemente nel commercio, nella manifattura e nei servizi. Durante la pandemia i fallimenti nel settore del turismo sono stati meno incidenti di quelli in altri servizi. E anche questo, apparentemente paradossale, si spiega con i sussidi. Il punto è: non sussidiare avrebbe comportato una strage; sussidiare all’infinito comporterebbe un irrigidimento mortale. L’errore più grosso è approcciare questi problemi con il taglio ideologico, restando ininfluente che sia ispirato al mercato o alla socialità, mentre è bene tenersi ai dati, alla realtà, con pragmatismo. Il morso della recessione si sente laddove le imprese nate sono meno numerose del solito rispetto alle cessate, considerato che fra le sopravvissute molte sono sussidiate. In quei differenziali si annida il problema, ma anche l’opportunità. Tenuto conto che sussidiare chi comunque è destinato a chiudere indebolisce chi si sente pronto a partire. Di Gaia CenolLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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