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Riadattarsi, nuova parola d’ordine delle aziende italiane

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Le aziende italiane non hanno più gli strumenti immateriali, intellettuali, le esperienze che fino a trent’anni fa erano fondamentali. Ora dovranno riadattarsi a un mondo pieno di dazi, come lo era pochi decenni fa

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Riadattarsi, nuova parola d’ordine delle aziende italiane

Le aziende italiane non hanno più gli strumenti immateriali, intellettuali, le esperienze che fino a trent’anni fa erano fondamentali. Ora dovranno riadattarsi a un mondo pieno di dazi, come lo era pochi decenni fa

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Riadattarsi, nuova parola d’ordine delle aziende italiane

Le aziende italiane non hanno più gli strumenti immateriali, intellettuali, le esperienze che fino a trent’anni fa erano fondamentali. Ora dovranno riadattarsi a un mondo pieno di dazi, come lo era pochi decenni fa

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Sabato mattina gli imprenditori italiani si sono alzati con un gran mal di testa. Perché nessuna impresa ha una cultura aziendale adatta a vivere in mercati protetti. Non ci sono più nemmeno gli strumenti immateriali, intellettuali, le esperienze che fino a trent’anni fa (e comunque con modalità più ‘morbide’) esistevano in azienda. Proprio perché esistevano i dazi. Inflazione bassa e liberi mercati con norme comuni o simili hanno reso la vita più semplice: non sarà più così.

Gli Stati Uniti sono un mercato strategico, nel senso di determinante, per un numero ristretto di imprese. E molto probabilmente alcune di queste avevano già maturato o dovevano maturare la decisione di un investimento produttivo in qualche sperduto Stato americano. Con regimi fiscali e regole del lavoro favorevoli. Ma l’emicrania rimane, perché per chi deve pensare di trasferire oltreoceano parte della produzione si tratta di affrontare la scarsa propensione degli americani al lavoro manufatturiero. L’assenza o quasi di reti di subfornitura. E in ogni caso maggiori costi per i dazi su componenti e materie prime da importare. Elemento che vale anche per chi si trova già là.

Con una ulteriore domanda, che riguarda la capacità di clienti e consumatori americani di assorbire l’inevitabile aumento di prezzo. Continuando a comprare quel prodotto, il cui prezzo oggi sconta positivamente migliori condizioni produttive. E prima ancora circola nella testa l’incertezza sulla opportunità o meno di investire di più o investire per la prima volta. Il futuro non è infatti per nulla chiaro: rimarranno i dazi? Rimarrà Trump? Perché per investire l’orizzonte dev’essere lungo e quattro anni fanno ridere.

Per un numero maggiore di aziende gli Usa sono un mercato importante ma non strategico e qui il risultato è già definito. Diventerà da importante a opportunistico. Comincia insomma una traversata del deserto alla ricerca di nuovi clienti, anche magari tra quelli a cui i dazi americani hanno riservato un trattamento migliore. Saranno probabilmente mercati meno remunerativi (altrimenti vi si opererebbe già) ma non esistono strade alternative.

Anche per chi considera gli Usa un mercato marginale o nullo le conseguenze saranno importanti. Primo, perché bisogna vedere quanti dei propri clienti italiani o esteri dipendono da quel mercato. Noi venderemo anche moda, lusso e Grana Padano che fanno prestigio ma siamo soprattutto componentisti sporchi di unto di officina. Secondo, perché sui propri mercati si affacceranno tutti quegli operatori – italiani e no – espulsi dal mercato americano e ora affannosamente alla ricerca di nuovi sbocchi. Risultato? Più concorrenza e più pressione sui listini.

Come se questo quadretto non bastasse si aggiunga il rischio Paese, non americano ma italiano. Gli animal spirits degli imprenditori verranno messi alla frusta e daranno il massimo possibile. Forse anche un pizzico di sorprendente impossibile, come spesso abbiamo dimostrato. Ma il fardello di un Paese non competitivo e del tutto incapace nel sostenere le proprie aziende (anzi, che ha vissuto e vive sulle loro spalle) stavolta potrebbe essere esiziale. Si può anche sperare di battere Trump. Ci si proverà fino in fondo. Ma battere il malgoverno di un’Italia indebitata e che all’estero ti ha sempre lasciato solo è troppo anche per gli imprenditori che camminano sulle acque. Non siamo anglosassoni dove quando il re si muove lo fa senza ritrosia per far fare affari alle aziende. È questo il mal di testa.

Di Flavio Pasotti

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