Smart working: opportunità bruciata dalla burocrazia
Smart working: opportunità bruciata dalla burocrazia
Smart working: opportunità bruciata dalla burocrazia
Sembra ieri, quando si ragionava – in pieno lockdown e subito dopo – della fine del lavoro per come l’avevamo sempre conosciuto. Si rifletteva sul destino dei grattacieli delle grandi corporation in giro per il mondo, destinati a restar vuoti, nell’era di quello che in Italia abbiamo sin dal primo giorno, erroneamente, chiamato smartworking. Lavoro da remoto, avremmo dovuto dire. Ora che i lockdown sembrano lontani, dello smartworking è rimasto solo il burocratese. Dal primo settembre il datore di lavoro non potrà stabilirlo unilateralmente, mentre sarà semplificata la sola comunicazione dei lavoratori in “lavoro agile“ agli organismi competenti. Il nulla, rispetto alla grande rivoluzione annunciata. La verità è che in Italia pochi si sono occupati di opportunità e limiti del lavoro da remoto, mentre sotto la spinta drammatica del coronavirus in troppi si son lasciati andare a fughe in avanti.
Non si tratta di “lavorare da casa“, opportunità che non è mai piaciuta a tutti. Si tratterebbe di saper sfruttare le opportunità offerte dal digitale, contemplando al meglio interesse dei lavoratori e produttività delle aziende. È ipocrita, poi, mettere sullo stesso piano le esigenze dei lavoratori esperti e giovani, che vivono d’esempio e guida. Le idee alla pausa caffè non sono una prerogativa dei giovani ma un elemento da tenere comunque in considerazione. Dispiace passare come se nulla fosse dagli allarmi sul futuro dei centri cittadini, privati di colpo di uffici e lavoratori, alle note burocratiche a piè di pagina.
di Marco Sallustro
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