Stelle Michelin, dagli pneumatici ai ristoranti
Le celebri stelle Michelin, oggi simbolo mondiale dell’eccellenza gastronomica, nascono da un’intuizione che con la cucina ha poco a che fare
Stelle Michelin, dagli pneumatici ai ristoranti
Le celebri stelle Michelin, oggi simbolo mondiale dell’eccellenza gastronomica, nascono da un’intuizione che con la cucina ha poco a che fare
Stelle Michelin, dagli pneumatici ai ristoranti
Le celebri stelle Michelin, oggi simbolo mondiale dell’eccellenza gastronomica, nascono da un’intuizione che con la cucina ha poco a che fare
Le celebri stelle Michelin, oggi simbolo mondiale dell’eccellenza gastronomica, nascono da un’intuizione che con la cucina ha poco a che fare. È il 1900 quando i fratelli Édouard e André Michelin, alla guida di una fabbrica di pneumatici a Clermont-Ferrand (nella Francia centrale), decidono di pubblicare un opuscolo gratuito per aiutare i pochissimi automobilisti dell’epoca a viaggiare più facilmente. L’idea di fondo è semplice: più chilometri si percorrono, più spesso si cambiano pneumatici. Nel libretto ci sono mappe, consigli meccanici, punti di sosta e ristoranti. Il legame tra viaggio e gastronomia nasce così, per caso.
Nel 1920, ormai autorevole, la guida diventa a pagamento. Ma la vera svolta arriva nel 1926, quando accanto ai nomi dei ristoranti più raffinati compare per la prima volta il simbolo della stella. Cinque anni dopo il sistema si perfeziona: una stella segnala una cucina molto buona nella sua categoria, due indicano un’ottima cucina che vale una deviazione, tre suggeriscono un’esperienza gastronomica unica, che giustifica il viaggio. Ad attribuire le valutazioni sono ispettori anonimi, dipendenti Michelin formati per valutare esclusivamente la qualità della cucina, escludendo sala, servizio e location. Un metodo rigoroso che ha contribuito alla costruzione del mito.
Con il tempo le stelle Michelin sono diventate una sorta di Olimpo culinario in grado di trasformare un ristorante in una meta di pellegrinaggio. Ma la tensione per ottenerle (o mantenerle) è tale da aver suscitato in alcuni casi episodi drammatici: celebre il caso dello chef Bernard Loiseau che si tolse la vita nel 2003 per il terrore di perdere la terza stella. Altro dettaglio spesso ignorato è che le valutazioni vengono assegnate al ristorante, non al singolo professionista dei fornelli. Eppure si continua a parlare di “chef stellati”, alimentando il mito del genio solitario.
In Italia la prima Guida Michelin fu pubblicata nel 1956 e le prime stelle italiane arrivarono tre anni dopo. Da allora, la nostra cucina non ha mai smesso di scalare le classifiche mondiali, con centinaia di ristoranti oggi premiati. Ma il successo ha un prezzo. Uno studio pubblicato dallo “Strategic Management Journal” ha analizzato due decenni di attività dei ristoranti stellati a New York, rivelando un paradosso: ottenere una stella aumenta la probabilità di fallimento. Il motivo? Costi operativi in crescita, clienti più esigenti, margini ridotti. Alcuni ristoratori scelgono di ridurre i coperti per offrire esperienze più esclusive, ma ciò compromette la sostenibilità economica. E nei periodi di crisi – per esempio durante la pandemia – molti locali stellati hanno chiuso definitivamente.
Eppure l’impatto sul territorio resta fortissimo. Secondo uno studio Jfc per Michelin, nel 2023 la ristorazione stellata italiana ha generato un indotto di 438 milioni di euro. Ogni ristorante con una stella produce mediamente 800mila euro di ricadute economiche, che salgono a oltre 6 milioni per un tre stelle. Turismo, filiere locali, occupazione: tutto beneficia dell’effetto Michelin. Quella dei fratelli Édouard e André è in fondo una delle più straordinarie storie di marketing culturale mai scritte. Partiti dagli pneumatici, sono riusciti a trasformare il viaggio in esperienza e il cibo in cultura. Oggi la Guida Michelin non è soltanto un simbolo gastronomico, ma una lente attraverso cui leggere i cambiamenti del nostro tempo: il valore dell’eccellenza, la fragilità del successo e l’eterno desiderio di trasformare ogni pasto in un’avventura.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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