
Ieri testimonial, oggi influencer
Ieri testimonial, oggi influencer
Ieri testimonial, oggi influencer
Noi della generazione x – come amano definirci i più giovani, per rimarcare con forza la distanza con il loro essere y e z (non si capisce perché non abc, ma probabilmente non vengono considerate lettere particolarmente cool) – siamo cresciuti accompagnati dalle figure dei testimonial. Scelti dalle grandi marche, spesso tra gli attori e gli sportivi più in voga, per rappresentarle.
La popolarità dei testimonial sovente consente una crescita vertiginosa della brand image di un marchio e della vendita nei negozi dei prodotti.
Ci ricordiamo tutti un sempre affascinante George Clooney per Martini (no Martini, no party) o brand ambassador per Nespresso, uno spaesato Kevin Costner per tonno Rio Mare e un surreale Antonio Banderas per Mulino Bianco; per rimanere a casa nostra, un indimenticabile Nino Manfredi degustatore di caffè e un Massimo Lopez alle prese con la telefonata più lunga di sempre. Come non citare poi il talentuoso e ‘atletico’ Nino Castelnuovo, mancato pochi giorni fa, di cui tutti abbiamo provato a emulare, vanamente, il salto plastico comprando Olio Cuore.
Allo stesso tempo però legarsi a un testimonial può creare anche grossi problemi in termini reputazionali. Numerosi gli esempi di testimonial boomerang, che hanno costretto le aziende a rapide retromarce con contratti stracciati a tempo di record, per provare a contenere danni a immagine e vendite. Tra quelli più eclatanti Tiger Woods, rinnegato dai brand che rappresentava come Gillette e Gatorade quando sono stati resi pubblici i suoi guai coniugali, o Kate Moss, licenziata da H&M e Chanel, quando venne immortalata mentre sniffava cocaina.
Oggi i testimonial stanno cambiando pelle. Per andare incontro alle sopracitate generazioni y e z, vengono scelti in particolare tra gli influencer, protagonisti del mondo dei social network. Persone e personaggi spesso senza arte né parte, come direbbero i nostri nonni, che si sono inventati un lavoro: creare tendenza grazie a un importante e nutrito seguito su Instagram, Facebook, YouTube.
Non più, quindi, solo attori, cantanti, sportivi, ma anche trend setter che, per rispondere ai nonni, di ‘parte’ ne hanno parecchia, che condividono attraverso foto, video e testi quello che accade nella loro quotidianità. Quando, alcuni anni fa, è nato il fenomeno degli influencer le aziende per sceglierli guardavano ai loro ‘numeri’: follower, tasso di interesse, interazioni, et cetera senza focalizzarsi troppo su messaggi e contenuti.
Ora invece ci si accontenta sempre meno di foto posate e artificiali. Chi di essere influencer ha fatto un lavoro sta unendo alla superficialità dell’immagine, argomenti da condividere, per rafforzare il legame con il proprio seguito, per fidelizzarlo creando un terreno di dibattito e discussione su temi spesso di tendenza, meglio se divisivi.
Essere ‘dalla parte di’ o giovani, lgbtq+, pro vaccini, etc. o viceversa fieramente ‘contrari a’ sicuramente riempie il mondo della realtà virtuale di contenuti e, perché no, il portafoglio di aziende e influencer.
di Federica Marotti
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Tag: social media, televisione


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