ImPattando
Dopo l’elezione del presidente della Repubblica a febbraio e il piano d’investimenti dei fondi europei, l’Italia è in attesa del terzo e più importante evento: la ridefinizione del patto di stabilità.
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Dopo l’elezione del presidente della Repubblica a febbraio e il piano d’investimenti dei fondi europei, l’Italia è in attesa del terzo e più importante evento: la ridefinizione del patto di stabilità.
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Dopo l’elezione del presidente della Repubblica a febbraio e il piano d’investimenti dei fondi europei, l’Italia è in attesa del terzo e più importante evento: la ridefinizione del patto di stabilità.
Dopo l’elezione del presidente della Repubblica a febbraio e il piano d’investimenti dei fondi europei, l’Italia è in attesa del terzo e più importante evento: la ridefinizione del patto di stabilità.
Due sono gli orizzonti temporali che orientano la discussione politica.
Il primo si colloca a febbraio, che è vicinissimo ma si pretende sia lontano, e riguarda l’elezione del presidente della Repubblica. Se ne parla più in relazione a come ciascuna forza politica potrà collocarsi, o a come collocare questo o quello, che con riferimento a cosa succede dopo, perché il dopo è avvolto nella nebbia.
Il secondo orizzonte si riferisce al piano d’investimenti alimentato con fondi europei, la cui scadenza è più lontana, supera la durata della legislatura, eppure ha rilevanti conseguenze immediate, tanto che forze politiche che si descrivono alternative non hanno neanche la possibilità di separarsi.
Ma c’è un terzo orizzonte, ben più rilevante per l’Italia, ed è quello della ridefinizione del patto di stabilità europeo. Da quello dipenderà molto del futuro prevedibile e di quello dovrebbero tenere conto molte delle scelte che si fanno oggi.
In una materia come questa non serve a nulla parteggiare e rumoreggiare, occorre capire. Siamo entrati nell’era della moneta europea avendo già un debito pubblico molto alto, ma grazie a quel che l’euro ha comportato ci siamo trovati a pagare meno di prima per gli interessi. Sebbene qualche sforzo per ridurre il debito si sia fatto, nell’insieme non ne abbiamo approfittato per riuscirci, ma per farlo crescere senza sbarellare. E questa è una nostra colpa. Le regole che ci si era dati per avere una moneta in comune – il patto di stabilità – prevedevano che il debito pubblico non dovesse superare il 60% del prodotto interno lordo e il deficit non superasse il 3%. Comunque non stabilmente, comunque non con un debito sopra il limite.
Queste soglie non avevano nulla di scientifico, erano la media dell’epoca. Il significato era: non usate i tassi bassi per indebitarvi troppo, mettendo a rischio la sovranità. Abbiamo fatto il contrario. L’austerità s’è trovata solo nella testa di quelli che parlavano a vanvera: abbiamo sempre speso più di quel che si incassava, facendo deficit che diveniva debito. Certo, il debito alto portava in deficit bilanci altrimenti in attivo, ma questa è una colpa, mica una scusa.
Il patto di stabilità è stato sospeso con la pandemia. La recessione è alle spalle, tutta l’Ue cresce e noi in modo vivace. Eppure sono in atto politiche pro cicliche (vale a dire che assecondano la crescita) imponenti: la Bce tiene i tassi bassissimi, anche distanziandosi dalle ultime scelte statunitensi, e compra titoli del debito pubblico; il programma Next Generation mette a disposizione fondi e genera debito comune europeo; le politiche di transizione energetica iniettano altri capitali per finanziare le trasformazioni.
Chi conosce queste materie può ben dire: i soldi non sono un problema. Semmai lo diventano per abbondanza esagerata. Tutto questo non può durare e, difatti, è in moto il meccanismo per rivedere e riattivare il patto di stabilità. Sul debito già è evidente che la soglia non sarà quella del 60, ma forse del 100%. Noi siamo sopra di una buona metà.
Per questo siamo il laboratorio europeo e per questo la scadenza del patto è per noi decisiva. Se i soldi spesi genereranno crescita duratura il debito si ridurrà progressivamente e l’esperimento sarà riuscito. Allora avremo dimostrati serietà e affidabilità e potremo reclamare la guida delle politiche europee. Se non sarà avvenuto, il debito ci soffocherà e minerà irrimediabilmente la nostra sovranità, che dovrà affidarsi all’altrui guida degli argini europei. È questa la partita decisiva. E non scade a febbraio, ma neanche con la legislatura, ma va oltre: gli equilibri europei si ridefiniscono nel 2024 e il programma d’investimenti nel 2025. A partire da quelle date comincia una storia diversa.
Se la politica avesse a che vedere con il futuro e non (solo) con il sondaggio settimanale, ne sentiremmo almeno parlare.
Il guaio è che a chiacchiere si possono ingannare le persone, non la realtà.
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