Curioso e bellissimo che l’atto finale di quell’era irripetibile per la società, i rapporti fra le persone, gli equilibri mondiali, persino il modo in cui ci vestiamo e ancora oggi ascoltiamo la musica, sia stato suggellato a 300.000 km da noi.
La Luna resta il sinonimo, il paradigma di tutte le conquiste umane, della capacità della nostra specie di elevarsi – nonostante i suoi terribili errori e umanissimi limiti – oltre quelli che sembrano confini invalicabili. La Luna del 20 luglio 1969 è la Cappella Sistina e il David della scienza e del coraggio, ma anche della geopolitica. Fu conquistata per assestare uno dei colpi poi risultati decisivi nella guerra fredda. Fu una sfida irrazionale eppure lucida, lanciata da un presidente certamente visionario, ma anche spaventato dall’aggressività e dai successi del nemico.
Il decennio dei fiori nei cannoni e dei figli di quegli stessi fiori, deve così il suo trionfo più iconico a un’impresa sostanzialmente militare e politica.
Il miracolo è che tutto questo non ha mai sottratto un grammo di poesia a quella prima, incerta e goffa passeggiata lunare di due uomini.
Sono tante le immagini e le parole entrate nel mito globale. Una è meno nota di altre, pur essendo fra le più significative: il gagliardetto della missione dell’Apollo 11, la missione della Luna, non riporta i nomi dei tre astronauti, Armstrong, Aldrin e Collins. Contravvenendo ad una consolidata tradizione, il comandante Neil Armstrong non volle il suo nome e quello dei suoi compagni sul gagliardetto.
Fu il suo piccolo, ma enorme omaggio all’idea di una missione per l’umanità tutta.
di Fulvio Giuliani
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