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L’umorismo sporco è donna

La donna nella comicità, la sua arma è la conoscenza più intima e profonda del proprio corpo che permette di ironizzare al di là degli stereotipi.
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L’umorismo sporco è donna

La donna nella comicità, la sua arma è la conoscenza più intima e profonda del proprio corpo che permette di ironizzare al di là degli stereotipi.
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L’umorismo sporco è donna

La donna nella comicità, la sua arma è la conoscenza più intima e profonda del proprio corpo che permette di ironizzare al di là degli stereotipi.
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La donna nella comicità, la sua arma è la conoscenza più intima e profonda del proprio corpo che permette di ironizzare al di là degli stereotipi.
Solo le donne si mettono in gioco. Vero. Le donne sono più sensibili. Vero anche questo. Le donne hanno più senso pratico. Sì. Però difetta loro una certa mancanza di umorismo. Errore. Questa è la cronaca di un sorpasso annunciato. La cartina di tornasole è la stand up comedy. Quella comicità nuda, voce e microfono. In piedi e con a disposizione solo il proprio joke (battuta più messa in scena) e la speranza di acchiappare il pubblico già dalla prima staffilata verbale. Gli uomini sono stati bravi precursori. Basti pensare a Lenny Bruce, il primo a condire gag velenose sprigionando termini come negro, ebreo, cazzo e affini. Per molto tempo, l’unico a portare avanti quell’umorismo sporco e scorretto e a essere inseguito da una raffica di processi penali per oscenità e violazione del comune senso del pudore, con l’epilogo di una morte tra le più misteriose. Ma la voragine ormai si era aperta: gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno seminato generazioni di comedian, tutti sick, cattivi fino all’insulto gratuito. Stessa cosa hanno fatto Israele, l’Est d’Europa e il Sud America. Non si è tirata indietro neanche l‘Italia, che negli ultimi dieci anni ha tirato su una bella generazione di stand up comedian. E le donne? Un attimo di pazienza, ora ci arriviamo. Quello della donna è un percorso ‘altro’ che, all’inizio, si guarda dall’alto. La prima grande comedian, ufficialmente riconosciuta, è Beatrice Herford. A lei il compito di comunicare il riso al femminile. Siamo a inizio Novecento. Lo fa con i pochi materiali che la società, davvero maschilista, le ha messo a disposizione: può interpretare la commessa, la sarta, la contadina, la centralinista, farle diventare caricature, compiacere, ogni tanto tirare fuori perle di comicità pura. I maschietti se la ridono sotto i baffi. Quella comicità graziosa e un po’ sottomessa non può che essere gradita, tanto è innocua e coerente col modello sociale in voga. A veder bene, anche in tempi più recenti le cose non cambiano: la comicità al femminile – che ironizza su obesità, smagliature, corna e fallimenti sentimentali, su amiche sempre più fiche – resta ancora troppo esteriore e imprigionata da stereotipi al maschile. Ma la resa dei conti era più vicina di quanto si pensasse perché la donna, e non è un luogo comune, ha sempre avuto un’arma in più: la conoscenza più intima e profonda del proprio corpo. E mentre il maschio da millenni non ha mai capito in che corpo vive e come è davvero fatto – nei suoi sketch non riesce ad andare oltre a divagazioni metacorporali su onanismo, flop erettili e, al massimo, mal di testa da sbronze del sabato sera – la donna quando converte la sua conoscenza vera del corpo in linguaggio comico e sporco è inarrivabile: scava nelle viscere, nel profondo, descrive gli umori, gli odori, la sacralità del sangue. Non ce n’è per nessuno. Il sorpasso è arrivato. L’umorismo sporco è donna. di McGraffio

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