In memoria di Gino Strada
Gino Strada è stata una grande persona. Coraggiosa, difficile, divisiva, unica.
Ho sempre detestato i peana post mortem, i pelosi abbracci di chi in vita detestò profondamente, salvo accodarsi all’ipocrita processione dei “io mi ricordo“, “io che lo conoscevo“, “quella volta in cui io e lui“, cose così…
In queste ore, si scoprono suoi amici o almeno ammiratori soggetti che avrebbero fatto fatica a salutarlo senza una smorfia, 48 ore fa. È il prezzo da pagare all’era dei commenti social, in cui non puoi non dire la tua davanti a una notizia importante.
Direte voi: è esattamente ciò che stai facendo tu. Accetto il rischio, avendo scritto poche volte di Gino Strada ed Emergency (avendone parlato però tantissime volte in radio, lungo gli anni). Ho sempre fatto fatica a farlo, perché davanti all’esperienza comunque la si pensi straordinaria di Strada, mi dava fastidio il diluvio di retorica. In un senso o nell’altro.
Mi sembrava e mi sembra tuttora facile da fraintendere le sensazioni provate davanti a un’idea, chiara e netta, di ciò che debba essere l’impegno per il bene degli altri. Un’idea senza sconti e compromessi, esposta – quando necessario e spesso lo era – con una franchezza che sfociava in compiaciuta durezza.
Questo ho sempre faticato a capire fino in fondo di Gino Strada, della prima moglie con cui fondò Emergency, dei suoi tanti (per fortuna) amici e sostenitori: la poca voglia di provare a illustrare la propria idea di mondo a chi fosse più lontano da loro, non ai più vicini. L’accettare, quasi cercare, quella divisione – io di qua, voi di là – mi è sempre sembrato un peccato, un assist fornito ai troppi ciechi e sordi della nostra epoca.
Perché a rileggere il tono delle critiche rivolte a un uomo come lui e alla sua opera, fino a ieri sia chiaro, perché oggi sono tutti amici, si finisce per aver paura del livello a cui può scendere il genere umano per puro odio personale.
di Fulvio Giuliani
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