Abbiamo bisogno di migranti
L’Italia ha bisogno di quegli ingressi, ma gli italiani sono insofferenti verso le conseguenze di una società multietnica. Sicuri?
Abbiamo bisogno di migranti
L’Italia ha bisogno di quegli ingressi, ma gli italiani sono insofferenti verso le conseguenze di una società multietnica. Sicuri?
Abbiamo bisogno di migranti
L’Italia ha bisogno di quegli ingressi, ma gli italiani sono insofferenti verso le conseguenze di una società multietnica. Sicuri?
L’Italia ha bisogno di quegli ingressi, ma gli italiani sono insofferenti verso le conseguenze di una società multietnica. Sicuri?
Siamo bisognosi di nuovi lavoratori e non si fa che parlare di come non si riesca ad arginarne l’arrivo. Non siamo matti, ma manca una visione d’insieme. Dal mondo industriale si fa presente il bisogno di avere 120mila persone in più all’anno, da quello agricolo si fa sapere che ne servono almeno 100mila ogni anno, i conti previdenziali – confermati dai governi di tutti i colori – stanno in equilibrio mettendo nel conto l’ingresso di 170mila nuovi contribuenti all’anno, per 30 anni. Ma pare che questi inaggirabili bisogni ci si possa permettere di non soddisfarli. Il che avviene per un poderoso travisamento della realtà.
Questi bisogni si riferiscono a persone che siano inserite nel sistema produttivo, non certo a immigrati ciondolanti e men che meno a nuovo personale da fornire all’economia nera o criminale. Sicché si dice: devono entrare regolarmente. Bello, ma non si è capaci di farlo nel numero necessario. I click day, ovvero le giornate dedicate alla prenotazione online di personale da far arrivare, si sono dimostrati sottodimensionati e occasioni di truffe e malaffare. Su 250mila domande presentate nel 2024 la metà era a cura di aziende fantasma: se ottengono quel che chiedono poi avviano un mercato parallelo di quella manodopera. Si ripete un luogo comune: l’Italia ha bisogno di quegli ingressi, ma gli italiani sono insofferenti verso le conseguenze di una società multietnica. Sicuri? A giudicare dal successo dei ristoranti etnici, oramai presenti anche nei luoghi più remoti, non si direbbe. Contano la curiosità, i prezzi bassi e gli orari d’apertura più estesi, ma sta di fatto che incontrano il gradimento dei clienti. Il numero degli stranieri che lavorano presso le famiglie italiane, per accudire chi ne ha bisogno, è più alto di quello degli infermieri presenti nelle strutture ospedaliere. E anche quelli sono sempre più spesso stranieri. Non sembra essere il riflesso di una società che detesta chi viene da fuori. Perché, allora, si rileva insofferenza dell’immigrazione presso le stesse persone che affidano a immigrati i propri cari e ne tessono le lodi?
Capita anche perché quello specifico immigrato lo conosco personalmente, mentre l’immigrazione in generale la conosco soltanto per gli effetti negativi. In parte sono quelli di cui sento parlare in continuazione, in parte sono dovuti a elementi oggettivi: l’incidenza della criminalità e la presenza nelle nostre prigioni di immigrati sono superiori a quelle nella popolazione italiana. Non sarà il buonismo insulso a cancellare questo dato. Ma sarebbe bene conoscerlo meglio: presso la comunità degli immigrati presenti in modo regolare l’incidenza della criminalità è più bassa di quella nella popolazione italiana; schizza in alto presso gli irregolari. Il che è anche ovvio, visto che in qualche modo devono pur procurarsi di che vivere. Ecco che per favorire la convivenza servono dosi massicce di legge e ordine, anche a tutela degli immigrati insostituibili (da ultimo commercianti cinesi rapinati da italiani). E anche nell’esame degli sbarcati si deve evitare un controllo meramente formale: da dove vieni e come sei arrivato? Magari si potrebbe aggiungere: che sai fare? Purtroppo i voti si prendono soffiando sulle paure, ma la ricchezza si crea soffiando sulle capacità produttive. L’esperimento albanese sarebbe eccellente se servisse a creare una banca dati a disposizione dell’intera Unione europea (gli stessi problemi li hanno anche gli altri), talché ciascuno possa attingervi secondo i bisogni. E aiuterebbe i politici razionali a non finire, come capita in Germania, sotto il ricatto nero e rosso della xenofobia anti produttiva. Clima che rende ostili le seconde generazioni, a tutti gli effetti europee.
I cittadini non sono matti, ma su un tema vitale sono anni che si diffonde veleno allo scopo di trovarsi una parte nella commedia politica. Con il paradosso che restando bisognosi d’ingressi si propizia quel decadimento che si pretende di evitare bloccandoli senza saperli bloccare.
Di Davide Giacalone
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