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Alba(n)gia

A cosa serve e cosa significa in campagna elettorale l’accordo sull’immigrazione tra Italia e Albania proposto dalla premier Giorgia Meloni

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A cosa serve e cosa significa in campagna elettorale l’accordo sull’immigrazione tra Italia e Albania proposto dalla premier Giorgia Meloni

Che degli esponenti politici in cerca di voti si rimproverino l’un l’altro di star facendo campagna elettorale ha un che di surreale. In realtà stanno cercando di dirsi di non star dicendo nulla di significativo e verificabile, limitandosi a evocare reazioni sentimentali e a scantonare approfondimenti e contenuti. Come accade a proposito del centro immigrati che si sta realizzando in Albania: delocalizzazione delle masse o novello lager? Nessuna delle due cose. Il rischio è che non sia proprio niente.

L’idea è stata del governo Meloni, l’intesa è con un governate albanese socialista; doveva essere operativa a maggio, pare che entri in funzione ad agosto, siamo in campagna elettorale e per questo Meloni va a far vedere che si sarebbe a buon punto. Ed è perché siamo in campagna elettorale che un deputato oppositore, Magi, si fa vedere nel medesimo posto e nel medesimo giorno, protestando contro la prospettiva che possa trasformarsi in un campo inumano, modello Guantanamo. Sembra che nessuno – mezzi d’informazione compresi – sia interessato a domandarsi qual sia la differenza con analoghi campi presenti in Italia e, pertanto, quali possano essere i vantaggi e gli svantaggi.

Il campo si trova in Albania, ma sarà italiano. Come ha ripetuto Rama, capo del governo albanese, gestione e sicurezza restano italiane. Dal che discende che ha la stessa probabilità che ha un campo in Italia di degenerare in luogo d’inutili permanenze e sofferenze. A che serve? Se la giurisdizione resta italiana, se le domande di ingresso si continuano a presentare all’Italia e i ricorsi avverso i respingimenti si discutono in Italia, serve a quel che servono i campi in Italia. Senza vantaggi o svantaggi. A volere essere precisi: costerà di più, visto che al personale italiano si dovrà pagare la trasferta all’estero, giacché l’italiano che sorveglierà e dirigerà sarà all’estero, mentre l’immigrato temporaneamente trattenuto sarà come se fosse in Italia.

La risposta alla sua domanda d’ingresso, quindi l’accoglienza o il respingimento, dovrà arrivare entro un mese. Se così sarà ci si potrà amleticamente chiedere perché mai per chi si trova nei campi italiani passano mesi tendenti ad anni. Ma per credere che così sarà attendiamo di vederlo.

Se lo si dovrà ricondurre al punto di partenza sarà come farlo (o, meglio, non farlo) dall’Italia. Invece se si fugge da un campo in Italia ci si trova in Italia, se si fugge da un campo italiano in Albania ci si trova in Albania. E questa è una significativa differenza, ma l’esperienza suggerisce l’ipotesi che – anziché vagare in cerca di frontiere – verrà intercettato dai traslocatori marittimi verso l’Italia, specializzatisi nel passato e non appartenenti alla più raffinata delle congreghe.

Magi ha evocato Guantanamo ma – deprecate ancora le violenze, del resto punite dalla giustizia statunitense – verrebbe voglia di dire: magari. Perché sarebbe assai utile una zona extraterritoriale, talché possa essere messa in salvo la vita di chi si trova per mare senza per questo dovere approdare in Italia e, quindi, in Unione europea. Sarebbe utilissimo descrivere zone sottratte alle giurisdizioni nazionali ove gestire assieme, in Ue, la difficile divisione fra profughi (che hanno diritto di entrare) ed emigranti economici (che spetta a noi stabilire se abbiamo convenienza a far entrare). Aree di questo tipo possono essere realizzate fuori dal territorio Ue (e in questo senso l’Albania sarebbe un ottimo esempio) o anche dentro, dando quel valore giuridico ai centri appositamente attrezzati. Magari fosse così. Ma non lo è, perché il centro è italiano, quindi valgono le leggi italiane per sicurezza e giustizia. Quale sia il risultato si può chiederlo ai tanti che, per troppi anni, ci hanno sbomballato con la fraternità e con l’ostilità.

E allora? Allora da una parte si vuol far credere che si porta altrove il problema e dall’altra che lo si deporta. Trasformando l’Albania nella boriosa albagia di chi crede che si sia disposti ad abboccare a tutto.

di Davide Giacalone

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