Almasri, Abedini e il provincialismo giustizialista
Per orientarsi nell’orrenda vicenda relativa al libico Almasri può essere utile guardare a una faccenda di provincia
Almasri, Abedini e il provincialismo giustizialista
Per orientarsi nell’orrenda vicenda relativa al libico Almasri può essere utile guardare a una faccenda di provincia
Almasri, Abedini e il provincialismo giustizialista
Per orientarsi nell’orrenda vicenda relativa al libico Almasri può essere utile guardare a una faccenda di provincia
Per orientarsi nell’orrenda vicenda relativa al libico Almasri può essere utile guardare a una faccenda di provincia
Fra gli schiamazzi può essere utile, per capirsi, tendere l’orecchio verso uno che sussurra. Per orientarsi nell’orrenda vicenda relativa al libico Almasri può essere utile guardare a una faccenda di provincia. Perché in quella si coglie l’incapacità di chiamarsi fuori dalla rissa e così consegnarsi all’impotenza. Partiamo dalla provincia.
Un consigliere regionale campano, del Partito democratico, è stato arrestato per intrallazzi vari attorno al mondo dell’immigrazione. Quello stesso mondo che, su scala ben diversa, fa da contesto dei gravissimi crimini contestati ad Almasri e che il governo italiano considera motivo più che sufficiente per espellerlo e riportarlo in Libia con un volo dedicato. Restiamo a Salerno, perché quella sarebbe stata una buona occasione – visto anche il miserrimo ed eventuale spessore criminale – affinché da parte degli avversari, attualmente maggioranza di governo, si ricordasse a tutti che un arresto non significa colpevolezza. Come non la comporta essere indagati o iscritti al registro delle notizie di reato. Come, da ultimo, è capitato alla presidente del Consiglio, a due ministri e a un sottosegretario. E sarebbe stata anche una buona occasione per prendere atto che questo sistema a lotteria dei click day innesca delle click night del buon senso. Va cambiato.
Cogliere l’occasione non sarebbe costato nulla. Ma sarebbe stato il segno che quel che preme sono il senso di giustizia e la sua corretta amministrazione, non il dare addosso a qualcuno. Occasione sprecata, visto che si è fatto il contrario, anche sfiorando il ridicolo macabro di accostare due vicende agli antipodi. Ma – ed è questo il punto – quando nel dibattito parlamentare di ieri mattina il caso del consigliere è stato evocato a sproposito, l’immediata risposta della segretaria del Pd è stata: noi lo abbiamo subito sospeso, mentre al governo c’è un ministro (Santanchè) rinviato a giudizio. Il dettato costituzionale e la presunzione d’innocenza non li hanno sfiorati. Da una parte e dall’altra.
Allora, con buona pace delle sagge parole spese – sempre ieri – dal ministro Crosetto, invocanti un «patto istituzionale», con tutta la possibile comprensione per lo sforzo del ministro Nordio di provare a far vivere nell’attività governativa quel che scrisse nel corso di quella intellettuale, non c’è verso, non c’è speranza, non c’è via d’uscita. Finché la presunzione di colpevolezza sarà il quotidiano pane avariato della polemica politica e del giornalismo, nessuna legge riuscirà mai a limitare il potere degli avvisi di garanzia. O degli arresti, quindi delle Procure. Per la semplice ragione che quel potere è sproporzionato e pericoloso non nella procedura penale, ma nella trattazione civile.
E non è tale per colpa delle Procure, ma per incultura e forcaiolismo di tantissima parte della nostra vita collettiva. Che certo non può definirsi civile. Non serve a niente ricordare i numeri dei prosciolti e degli assolti, perché sono tutte carte morte nel dimenticatoio seppellito dagli anni. Non servono le parole della ragione, perché ogni nuovo caso sarà giocato sul terreno dell’emozione e ogni nuova contestazione di reato sarà accolta come notizia di colpevolezza. Tale bestialità culturale è la vera causa della demolizione del senso del diritto. Il resto appare sempre più come una commedia.
È in questo parapiglia senza princìpi e senza coerenza che del caso Almasri si smarrisce il senso o lo si annega nelle procedure. È nel caotico scazzottarsi che si perde la memoria dell’appena ieri e dell’iraniano Abedini. Il quale ultimo era richiesto di arresto, da parte americana, perché considerato responsabile di illeciti finalizzati alla costruzione di armi attualmente utilizzate per lo sterminio, al servizio di una feroce dittatura. In quel caso, essendo pendente il rapimento di una cittadina italiana a opera delle autorità iraniane, il governo giustamente e opportunamente non attese la pronuncia della giustizia, ma lo riaccompagnò a casa e gli garantì l’impunità.
Quanti ora si sgolano ricordando i crimini contestati ad Almasri allora convennero sull’opportunità di liberare Abedini. Cadendo tutti in contraddizione: perché il governo si trincera dietro una scarcerazione disposta dalla Corte e l’opposizione protesta il principio del dovere perseguire i criminali. L’opposto di quel che fecero appena ieri. Due casi diversi, ovviamente, ma simili nel dover prevalere della ragione di Stato, salvo far emergere incoerenze e opportunismi ben distribuiti. Condizione in cui i soli patti stipulabili sono quelli con i diavoli.
Di Davide Giacalone
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche