Berlusconi contro Zelensky, come isolare l’Italia
L’ennesimo capitolo della saga Berlusconi contro Zelensky è una grana per il governo di Giorgia Meloni, acido sulla nostra credibilità internazionale
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L’ennesimo capitolo della saga Berlusconi contro Zelensky è una grana per il governo di Giorgia Meloni, acido sulla nostra credibilità internazionale
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Berlusconi contro Zelensky, come isolare l’Italia
L’ennesimo capitolo della saga Berlusconi contro Zelensky è una grana per il governo di Giorgia Meloni, acido sulla nostra credibilità internazionale
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L’ennesimo capitolo della saga Berlusconi contro Zelensky è una grana per il governo di Giorgia Meloni, acido sulla nostra credibilità internazionale
Se qualcuno avesse ancora nutrito qualche dubbio su cosa potesse aver generato, quali contraddizioni potessero celarsi (mica troppo) dietro l’incredibile vicenda del videomessaggio di Volodomyr Zelensky declassato a messaggio scritto e relegato alle 2:14 della finale del Festival di Sanremo, tutto sarà apparso più chiaro ieri sera.
L’intemerata putiniana di Silvio Berlusconi ha messo nel vivo dei microfoni tutte le pericolose tensioni della maggioranza di governo sulla guerra scatenata da Vladimir Putin. Dire che sia solo Berlusconi a pensarla così, ad avere il coraggio di definire il leader della resistenza Ucraina, l’uomo simbolo della lotta per la libertà abbracciata da tutto l’Occidente “quel signore“, significa volessi raccontare balle.
Le distanze, le insofferenze, i distinguo, i mal di pancia, quelli che nutrono una viscerale antipatia per Zelensky e una naturale simpatia per gli uomini forti purché siano antioccidentali e antiamericani non sono certo una prerogativa di qualche estremista verbale a sinistra o nel magma del Movimento Cinque Stelle. Ce ne sono sempre stati – eccome – anche nell’area di governo, pur se nessuno si è mostrato recidivo come Silvio Berlusconi.
Proprio lui, il campione dell’americanismo ai tempi della presidenza Bush figlio, l’uomo chiamato a parlare al Congresso di Washington, il leader che si picca di aver “fatto finire la guerra fredda” a Pratica di Mare, è pronto a sacrificare qualsiasi cosa sull’altare di un’ormai logora e un po’ patetica amicizia e vuota infatuazione per Vladimir Putin.
Una grana esplosiva per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, reduce dai giorni dell’ennesima polemica con la Francia e dalla settimana di Fedez leader dell’opposizione. Sarcasmo sanremese a parte, questa è roba seria, serissima.
Queste sono parole che fanno il giro del mondo, ci mettono in una posizione di oggettiva e clamorosa debolezza, in un angolo in cui ci ritroviamo senza nessuno, tranne gli innominabili. Meritatamente.
La coerenza del Parlamento italiano e del nostro governo è fuori discussione e – come sottolineato nella stizzita e un po’ angosciata nota di Palazzo Chigi di ieri sera – agli atti del programma dell’esecutivo e di numerosi voti parlamentari.
Solo che non basta e Giorgia Meloni lo sa benissimo: una cosa del genere, ripetuta dopo le simili esternazioni in campagna elettorale, è acido sulla nostra credibilità internazionale, la tenuta della stessa maggioranza, la forza del governo.
Un guaio enorme che ti fa rimpiangere i bei tempi di Rosa Chemical e dei baci alla francese all’Ariston.
Festival e Berlusconi, c’è da ricucire e di corsa con Zelensky, sapendo che a Kiev ci andremo comunque azzoppati e inseguiti da nuvole tempestose.
Di Fulvio Giuliani
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