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Biden c’è

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Al contrario di quanto sostengono in molti, Biden ha dimostrato di saper prendere posizione gestendo diverse operazioni con una concretezza ben distante da Obama e Trump.

Biden c’è

Al contrario di quanto sostengono in molti, Biden ha dimostrato di saper prendere posizione gestendo diverse operazioni con una concretezza ben distante da Obama e Trump.
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Biden c’è

Al contrario di quanto sostengono in molti, Biden ha dimostrato di saper prendere posizione gestendo diverse operazioni con una concretezza ben distante da Obama e Trump.
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È diventato uno sport internazionale sparare a zero su Sleepy Joe, sottolineare le sue gaffe e i suoi inciampi (come se non ci fossero precedenti, a partire da Gerald Ford) e avallare l’idea che no, America is not back e che la presidenza sia debole come non mai e nelle mani di un anziano non sempre presente a sé stesso. Se la pensate così, meglio che prepariate i cerotti perché la realtà racconta cose diverse su almeno tre dossier. Biden ha gestito il politicamente difficilissimo ritiro dall’Afghanistan con una durezza e una determinazione sorprendenti. Ha ribaltato il tavolo nel Pacifico sganciando gli australiani da un legame che era ormai strettissimo con la Cina e rassicurando Taiwan al punto da far filtrare l’idea che Taipei possa tornare all’Onu. Ha risposto a muso duro al Cremlino sulla crisi ucraina costringendo i russi a un continuo rilancio militare che Biden ha trasformato da elemento di pressione a fattore di isolamento internazionale di Putin. Tre operazioni lontanissime da Obama e Trump, presidenti osannati dalle tifoserie ma del tutto inconcludenti nello scenario internazionale e che lasciarono spazi mai visti proprio a russi e cinesi. I filoamericani potrebbero definirsi piuttosto soddisfatti. I problemi semmai hanno riguardato e riguardano gli alleati, non Taiwan e Ucraina ma principalmente gli europei. Il ritiro da Kabul, ricordiamolo, fu una scelta unilaterale non condivisa con i Paesi della missione. Per recuperare l’Australia Sleepy Joe ha asfaltato i francesi e, per la prima volta dai tempi della battaglia di Salamina, i confini orientali dell’Europa sono gestiti a Washington in modo ancor più unilaterale rispetto al 1945. A fatica stiamo tornando ad accettare che la pace non sia perpetua (Kant) ma una condizione transitoria determinata dagli equilibri fra molti fattori: gli europei dovranno comprendere che quello economico è uno di essi e non l’unico. di Flavio Pasotti

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