Carrieristi
Il perché sia una riforma giusta, quella della separazione delle carriere, risiede nel banale buon senso: chi accusa e chi giudica non possono essere colleghi
Carrieristi
Il perché sia una riforma giusta, quella della separazione delle carriere, risiede nel banale buon senso: chi accusa e chi giudica non possono essere colleghi
Carrieristi
Il perché sia una riforma giusta, quella della separazione delle carriere, risiede nel banale buon senso: chi accusa e chi giudica non possono essere colleghi
Ultimata la terza lettura della riforma costituzionale, relativa alla separazione delle carriere fra magistrati che accusano e magistrati che giudicano, s’approssima la quarta e l’approvazione definitiva. Poi si avvicinerà il referendum. Prima che tutti diventino carrieristi, esperti del tema, è bene fissare due punti: 1. è una giusta riforma, che cancella l’anomalia mondiale dell’Italia ma non risolve i problemi della giustizia; 2. è anche un’umiliazione per la sinistra che fu (fu) garantista e consegna anche questa battaglia alla destra che fu (fu?) giustizialista.
Il perché si tratti di una giusta riforma risiede nel banale buon senso: chi accusa e chi giudica non possono essere colleghi. Sostenere, come fanno taluni magistrati, che proprio quella comunanza consegna loro la “cultura della giurisdizione” è non soltanto immaginario, ma smentito quotidianamente.
Il fronte avverso – che ora si colora anche di un comitato referendario presieduto e composto da magistrati e intitolato “A difesa della Costituzione”, risultando loro ostico comprendere il perché la Costituzione stessa assegna la propria difesa a una Corte appositamente composta da una maggioranza di non magistrati – oscilla fra due tesi inconciliabili: a. non cambia niente; b. crolla tutto.
È vero che la comunanza delle carriere non crea una dipendenza di ordinanze e sentenze dalla colleganza. Giusto per stare alla stretta attualità: il Tribunale del riesame di Milano ha dato degli incapaci ai magistrati della Procura milanese e al giudice delle indagini preliminari, autori di un lavoro «svilente». Ed è vero che già con la riforma Cartabia i passaggi di funzioni sono ridotti a uno solo e, comunque, non sono poi così numerosi. Quindi non cambia niente? Cambia eccome. Intanto perché in diritto il principio non è fuffa ma sostanza. Poi perché la connivenza s’ingigantisce alla Commissione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
Ma il punto fondamentale sarà affrontare il tema che in questa riforma non ci può essere: la responsabilità. Accusare chi si dimostra innocente può essere un rischio del mestiere, ma il chirurgo che amputa la gamba sbagliata dev’essere allontanato dal bisturi. Far arrestare senza indizi è grave, ma se poi un collegio ti dice che sei incapace e subordinato devi pagarla. Non esiste potere senza responsabilità e la colleganza è ancora una forma d’irresponsabilità connivente.
L’impareggiabile Davigo dice che non cambia perché se il procuratore non sarà più collega del giudice lo sarà comunque di un altro procuratore, cui chiederà di aprire un’indagine patrimoniale sul giudice non compiacente. Bell’ambientino. Ma quello che a Davigo è sempre sfuggito è che la giustizia non sta in Procura ma in Tribunale, dove gli innocenti vengono assolti e i colpevoli – come lui – condannati. Il problema italiano è arrivarci in tempi ragionevoli, il che non è sfiorato dalla riforma in approvazione. Comunque grazie per avere confermato che in Procura c’è anche brutta gente che usa l’indagine come intimidazione. Ne avevamo il sospetto.
Quanti prospettano il crollo totale lo fanno con riferimento all’autonomia. Potrebbero compulsare il diritto comparato e scoprire che in Paesi come la Francia e la Germania il procuratore conosce forme di dipendenza gerarchica dal ministro della Giustizia e il mondo rimane in piedi. Ma se si vuole evitare quel tipo di organizzazione si deve lavorare a una efficace responsabilità, giacché supporre di rimanere con irresponsabili che possono arrestarti senza mai rispondere degli errori non sarà la fine del mondo, ma è quella del diritto.
Carlo Nordio non è consustanziale alla destra che oggi governa. Ha dovuto inghiottire molti rospi e taluni ancora si muovono. Ma ha consentito alla destra una riforma giusta, che ha anche il merito di relegare sullo sfondo le altre due, sbagliate (premierato e autonomia). La sinistra si trovi un Nordio, in fretta, a meno che non voglia arrivare al referendum popolata da carrieristi forcaioli.
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