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Meloni Almasri

Caso Meloni-Almasri: non uno, ma due grossi guai

Nella vicenda Meloni-Almasri: ci sono due grossi guai. Ciascuno dei due capace di produrne degli altri e l’uno che fa da moltiplicatore dell’altro. Se si vuole evitare che si produca un disastro sarà bene che ci se ne consideri tutti avvisati, non solo i mittenti e i destinatari di una iscrizione nel registro degli indagati

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Caso Meloni-Almasri: non uno, ma due grossi guai

Nella vicenda Meloni-Almasri: ci sono due grossi guai. Ciascuno dei due capace di produrne degli altri e l’uno che fa da moltiplicatore dell’altro. Se si vuole evitare che si produca un disastro sarà bene che ci se ne consideri tutti avvisati, non solo i mittenti e i destinatari di una iscrizione nel registro degli indagati

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Caso Meloni-Almasri: non uno, ma due grossi guai

Nella vicenda Meloni-Almasri: ci sono due grossi guai. Ciascuno dei due capace di produrne degli altri e l’uno che fa da moltiplicatore dell’altro. Se si vuole evitare che si produca un disastro sarà bene che ci se ne consideri tutti avvisati, non solo i mittenti e i destinatari di una iscrizione nel registro degli indagati

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Nella vicenda Meloni-Almasri: ci sono due grossi guai. Ciascuno dei due capace di produrne degli altri e l’uno che fa da moltiplicatore dell’altro. Se si vuole evitare che si produca un disastro sarà bene che ci se ne consideri tutti avvisati, non solo i mittenti e i destinatari di una iscrizione nel registro degli indagati

Non uno, ma due guai grossi. Ciascuno dei due capace di produrne degli altri e l’uno che fa da moltiplicatore dell’altro. Se si vuole evitare che si produca un disastro sarà bene che ci se ne consideri tutti avvisati, non solo i mittenti e i destinatari di una iscrizione nel registro degli indagati.

Su queste pagine, fin dal primo momento, abbiamo sottolineato la gestione improvvida del caso Almasri e le contraddizioni in capo allo stesso governo. Non si può da un lato invocare la ragione di Stato (che c’è e ci arriviamo) e poi sostenere che la scarcerazione era da accollare per intero ai giudici romani. Né si può sostenere che chi era liberamente entrato in Italia, senza che alcuno avesse segnalato la persona come pericolosa, dovesse poi essere rimpatriato immediatamente con un aereo a lui dedicato e per ragioni di sicurezza. L’espulsione era l’aspetto formale, quello sostanziale consisté nel riaccompagnarlo a casa prima che fosse troppo tardi. Il governo aveva il dovere di assumersi la responsabilità di quella scelta, senza nasconderla dietro i fumogeni della scarcerazione e della sicurezza.

Posto ciò, una decisione politica non si processa in tribunale e non si sottopone a un procedimento penale. Nessuno è immune, ma sono ambiti diversi. Non potrà mai essere una sentenza a risolvere la questione. Una decisione politica si combatte o si sostiene in quanto tale, non la si traveste da reato. Si chiede al governo di risponderne in Parlamento, anche sapendo che in quella sede avrà la maggioranza per farsi promuovere, ma facendo del dibattito la sede di un chiarimento da offrire ai cittadini. Non si pensa e non si lascia che il governo ne risponda a un giudice, perché in quel modo non si danneggia ‘questo’ governo, ma ‘il’ governo.

Chi ha emesso l’avviso di garanzia – ovvero la Procura di Roma – indirizzandolo alla presidente del Consiglio, ai ministri della Giustizia e dell’Interno, oltre che al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, non tiri in ballo l’“atto dovuto”. La riforma Cartabia avrebbe consentito altra condotta. Chi ha ricevuto l’avviso di garanzia non tiri in ballo l’attacco politico. Se esiste senso di responsabilità ci si renda conto del profondo guasto istituzionale. Che in quel modo si allarga, come difatti si sta allargando.

Si può osservare, atteggiandosi a cinici e disincantati osservatori, che attaccare la magistratura non porta bene. E non sarebbe la prima volta, né ha portato male soltanto a governi di destra (altra falsificazione storica assai in voga). Osservazione pertinente, ma forse inappropriata: questo somiglia a un togato gesto suicida. E se il tentativo sarà coronato da successo toccherà a noi garantisti vestire il lutto, perché ci fanno orrore i colpevolisti e non siamo mai stati innocentisti, ma sempre per il rispetto e il valore del diritto e dei diritti. Una roba di questo tipo non mette le Aule di giustizia al riparo dalle pressioni piazzaiole e propagandistiche, ma le consegna loro, cancellando l’idea stessa di giustizia.

Fu ragione di Stato? C’è anche quello, ma va affrontato il colossale equivoco di chi vuol far credere che gli sbarchi di emigranti irregolari siano una variabile influenzata da chi amministra le sponde di approdo, laddove dipendono dalle sponde da cui si salpa. Non diminuiscono se si promettono rimpatri (che non si sanno fare, se non ad – pessima – personam) o se apro un centro in Albania, ma diminuiscono se faccio accordi (pagando prezzi alti, economici e morali) con chi impedisce le partenze. E l’accordo si fece nel 2017 a opera di Minniti, uno dei migliori al Ministero degli Interni e per questo detestato dai suoi compagni del Pd. Accordo mai revocato e semmai confermato. Accordo che non ignora i trattamenti disumani in Libia. La libertà di Almasri discende da quell’accordo? Penso di sì. E se non lo si dice non è per pudore, ma perché casca il resto della retorica. Dell’una e dell’altra parte.

Nulla di tutto questo può e deve essere discusso in tribunale.

di Davide Giacalone

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