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Che sarà dell’Italia senza Mario Draghi

Dopo l’esperienza a Palazzo Chigi Mario Draghi ha già detto che non tornerà a ricoprire incarichi internazionali. Di fronte alle forze politiche attuali l’assenza di Draghi sarà un grande punto interrogativo per il futuro dell’Italia.
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Che sarà dell’Italia senza Mario Draghi

Dopo l’esperienza a Palazzo Chigi Mario Draghi ha già detto che non tornerà a ricoprire incarichi internazionali. Di fronte alle forze politiche attuali l’assenza di Draghi sarà un grande punto interrogativo per il futuro dell’Italia.
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Che sarà dell’Italia senza Mario Draghi

Dopo l’esperienza a Palazzo Chigi Mario Draghi ha già detto che non tornerà a ricoprire incarichi internazionali. Di fronte alle forze politiche attuali l’assenza di Draghi sarà un grande punto interrogativo per il futuro dell’Italia.
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Dopo l’esperienza a Palazzo Chigi Mario Draghi ha già detto che non tornerà a ricoprire incarichi internazionali. Di fronte alle forze politiche attuali l’assenza di Draghi sarà un grande punto interrogativo per il futuro dell’Italia.
E adesso che si fa? Soverchiati dai decibel della propaganda che intasa orecchie e cervello, pochi hanno dato il giusto peso alle parole di Mario Draghi che questo giornale ieri ha messo nel suo hashtag di prima pagina. A precisa domanda se dopo l’esperienza a Palazzo Chigi l’ex presidente Bce tornerà a ricoprire incarichi internazionali, la risposta è stata un secco «No». Fa il paio con la replica alle continue (e pelose) sollecitazioni che gli arrivavano da inossidabili pifferai del Palazzo decisi a piegare la figura del presidente del Consiglio ai loro disegni e alle loro manovre: «Mi candidano ovunque, ma se voglio un posto di lavoro me lo trovo da solo». Nulla è cambiato da quel’11 febbraio e tutto si può dire di SuperMario tranne che non sappia cosa sia il parlar chiaro. Il risultato di queste esternazioni forse estemporanee ma di grande impatto è uno solo: se qualcuno intende togliergli la fiducia faccia pure e se ne prenda la responsabilità. Per quanto lo riguarda, Draghi è intenzionato a restare dov’è fino a fine legislatura. Tuttavia la permanenza alla presidenza del Consiglio non produce impalpabilità. Al contrario, scuote fino in fondo il panorama politico e determina effetti precisi sulle forze politiche sia di maggioranza (di più) che di opposizione (di meno, ma non trascurabili). Come abbiamo su queste colonne più volte denunciato, le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra sono finzioni, macchine e acchiappavoti con gli ingranaggi sempre più usurati e malfunzionanti che i partiti si ostinano a tenere in piedi per puro calcolo elettorale ed egoistico. Ma adesso le cose precipitano anche dentro le singole forze politiche. Draghi manovra il timone governativo con sicurezza e decisione. Può piacere o meno, si può criticare o esaltare ma è un fatto che il presidente del Consiglio sappia quello che vuole, abbia chiari gli obiettivi del suo percorso e viaggi, anche assorbendo eventuali sbandamenti, verso il traguardo della messa a terra del Pnrr e della conferma della posizione italiana nel solco dell’atlantismo e dell’europeismo. La qual cosa, appunto, sta disgregando i partiti della maggioranza al loro interno. Forza Italia è una polveriera con i ministri contro il Cav e le sue posizioni filo-russe. Invece che quelli a lui più congeniali del Federatore, Berlusconi è costretto a indossare i panni del Rattoppatore: un affronto, ma il tocco magico è svanito. La Lega, da Invincibile Armada pre-Papetee che era, si è trasformata nel PdM, Partito dei Mugugni. Le sortite di Salvini sul fronte della politica estera ne mettono a nudo l’inadeguatezza della leadership e producono un imbarazzo nel Carroccio che nessuno, non solo Giorgetti, si preoccupa più di nascondere. Addirittura si vocifera di un Comitato per le candidature elettorali: di fatto una delegittimazione del Capitano. Per non parlare dei Cinquestelle che sono una sommatoria di forze ognuna slegata dall’altra: dai gruppi parlamentari al cerchio magico di Giuseppi; dalla ridotta della Farnesina ai soliloqui di Di Battista. Non si può non aggiungere il Pd. Letta ha sposato la linea Draghi ma all’interno del suo partito i malumori serpeggiano eccome. L’alleanza con il M5S è fonte di divaricazione e l’idea di fare i donatori di sangue e poi ritrovarsi come con Monti è un incubo che non passa. Non solo le coalizioni, dunque, ma le stesse forze politiche si divaricano e frantumano di fronte alla caratura e alle capacità governative di Draghi. Il che, se è possibile, rende ancora più inquietante l’interrogativo su cosa succederà alle elezioni e che sarà dell’Italia una volta che SuperMario lascerà Palazzo Chigi. Certo è che non sarà semplice sgomberare le macerie prodotte dagli egoismi e dalle ambizioni dei singoli capipartito. Forse neppure possibile. Di Carlo Fusi

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