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Continuità

Bisogna interrogarsi sulle conseguenze e il fall-out politico del conflitto Russia-Ucraina, anche nel nostro paese. Destinato a sconvolgere non solo le coscienze ma anche gli equilibri del pianeta.
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Bisogna interrogarsi sulle conseguenze e il fall-out politico del conflitto Russia-Ucraina, anche nel nostro paese. Destinato a sconvolgere non solo le coscienze ma anche gli equilibri del pianeta.
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Bisogna interrogarsi sulle conseguenze e il fall-out politico del conflitto Russia-Ucraina, anche nel nostro paese. Destinato a sconvolgere non solo le coscienze ma anche gli equilibri del pianeta.
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Bisogna interrogarsi sulle conseguenze e il fall-out politico del conflitto Russia-Ucraina, anche nel nostro paese. Destinato a sconvolgere non solo le coscienze ma anche gli equilibri del pianeta.
Di fronte all’orrore prodotto dalla guerra non c’è altro sentimento che sostenere chi vive e combatte e solidarizzare con chi è aggredito: ogni diversa considerazione è sale sulle ferite. Al tempo stesso è obbligatorio interrogarsi sulle conseguenze e il fall-out politico di un conflitto come quello che oppone Russia e Ucraina, destinato a sconvolgere non solo le coscienze ma gli equilibri stessi del pianeta. Se è così, brutalmente possiamo dire che Putin ha risolto alla grande la campagna elettorale francese, inchiodando Emmanuel Macron all’Eliseo. Come pure ha rinsaldato a Downing Street un Boris Johnson con già in mano il decreto di sfratto e che invece ora naviga con il vento alle spalle, addirittura invocando l’intervento militare contro l’Armata rossa. L’onda d’urto putiniana blinda le leadership europee al comando dei rispettivi governi, perfino per Olaf Scholtz che ha potuto spezzare il tabù più tabù di tutti: il riarmo della Germania. Nessuno nelle Cancellerie europee ha più l’incubo di cercare voti e consenso perché nessun cittadino occidentale può immaginare niente di peggiore che finire nel marasma dell’incertezza politico-istituzionale nel momento più buio da settant’anni a questa parte. Bene: vale anche per l’Italia? La risposta è no. Come spesso accade, da noi i problemi sono più aggrovigliati rispetto ai partner europei. Da noi, infatti, c’è una personalità che siede a Palazzo Chigi che gode di rispetto, prestigio, autorevolezza e considerazione come e più degli omologhi occidentali. Che non ha il problema di raggranellare consenso: sia perché già ce l’ha, visto che è in testa ai sondaggi in quanto a popolarità e adesione all’azione di governo; sia perché un lavoro è in grado di trovarselo da solo, come senza mezzi termini ha spiegato a chi voleva arruolarlo sotto questa o quella bandiera di partito. Tuttavia nell’infinito paradosso politico italiano se tutto questo apparentemente rappresenta una forza, in realtà al tempo stesso determina una parallela debolezza. Il perché è semplice. Se Mario Draghi deve restare dov’è – visto che non c’è un timoniere migliore di lui – vuol dire che le larghe intese devono proseguire anche nella prossima legislatura, assiepandosi concordemente attorno al medesimo commander in chief Facile a dirsi, oltremodo impervio a farsi. Per due ragioni. La prima è che la maggioranza attuale preferisce litigare (vedi riforma del fisco e sistema catastale) e minacciare crisi piuttosto che ragionare e coltivare lungimiranza. Col rischio che quel che accade adesso possa moltiplicarsi in campagna elettorale. E poi perché, quando si apriranno i seggi, tutto deve accadere tranne che i cittadini avvertano come inutile il loro voto perché il Palazzo ha già deciso la maggioranza e il presidente del Consiglio: in quel caso il pericolo è che l’astensione tocchi livelli emergenziali. Il punto non è Draghi, che non si sottrarrà al suo dovere. Il punto sono i partiti che devono spiegare ai loro elettori qual è la posta in gioco e come fare per non disperderla. Non come un fatto compiuto bensì come una scelta la più adeguata per salvaguardare il Paese. Nata emergenziale e raffinata, fino a diventare strutturale per il tempo che serve. Vaste programme, avrebbe ammonito Charles De Gaulle. di Carlo Fusi

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