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Contro il rigassificatore

La classe politica pronta oggi a dire No (senza riflettere) al rigassificatore, è la stessa che ieri ha detto No alle gare per le concessioni balneari o a banali principi di libera concorrenza
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La classe politica pronta oggi a dire No (senza riflettere) al rigassificatore, è la stessa che ieri ha detto No alle gare per le concessioni balneari o a banali principi di libera concorrenza
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La classe politica pronta oggi a dire No (senza riflettere) al rigassificatore, è la stessa che ieri ha detto No alle gare per le concessioni balneari o a banali principi di libera concorrenza
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La classe politica pronta oggi a dire No (senza riflettere) al rigassificatore, è la stessa che ieri ha detto No alle gare per le concessioni balneari o a banali principi di libera concorrenza
Per capire come sia stato possibile arrivare dove si è arrivati a Roma, conviene passare da Piombino. Il centro toscano – noto ai più per il porto (base di partenza, fra l’altro, per le isole toscane o la Sardegna) e per un’area industriale dalle alterne fortune – è stato individuato come luogo di attracco e messa in opera di una delle due navi rigassificatrici (la Golar Tundra: il nome è vagamente inquietante, ma che volete farci) che il governo Draghi ha incaricato Snam di reperire sul mercato e noleggiare. Sono parte del programma d’emergenza che dovrà permettere all’Italia di diversificare al più presto la propria politica energetica, in vista del progressivo e scontato addio alle forniture di gas dalla Russia. Non proprio dettagli, eppure apriti cielo. Come più volte abbiamo raccontato, Piombino è sull’orlo di una rivolta, spinta alla piazza dall’intero “arco costituzionale”. Sindaco Francesco Ferrari (Fratelli d’Italia) in testa, ma con il Partito democratico locale non da meno, desideroso di non farsi scippare questa poderosa arma propagandistica da un avversario vissuto come un usurpatore, rispetto alla tradizione di sinistra della città. A poco serve che il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani (anche lui Pd) sia favorevole, se non altro perché nominato dal governo commissario straordinario ai rigassificatori. Divisioni e convergenze trasversali che sono un classico all’italiana. Direte voi, che c’entra tutto ciò con la crisi scoppiata giovedì? In realtà tantissimo, perché questa sconsiderata corsa a lisciare il pelo degli istinti più facili della pubblica opinione finisce per azzerare le differenze. Riduce il confronto politico a una marmellata indistinta, in cui si combatte come galli impazziti per un punto di sondaggio e pezzetti di populismo o antipopulismo che alla lunga si assomigliano in modo sconcertante. La classe politica pronta oggi a dire No (senza riflettere) al rigassificatore, è la stessa che ieri ha detto No alle gare per le concessioni balneari o a banali principi di libera concorrenza. Quelli che hanno portato alle indecenti proteste selvagge dei tassisti di questi giorni. Perché meravigliarsi di quanto successo al governo, della vigliaccheria di non avere neppure il coraggio di votare contro la propria maggioranza, se da anni tutti – a turno – corrono in soccorso di questa o quella categoria, infischiandosene dell’interesse generale? Noi che su questi temi ci siamo spesi (e continueremo a farlo) siamo perfettamente consapevoli di poter risultare, alla lunga, dei fastidiosi grilli parlanti. “Quelli a cui non va mai bene niente”, tranne poi trovarci in numerosa e rumorosa compagnia nel giorno in cui Mario Draghi ha subìto un attacco intollerabile al proprio lavoro e al proprio prestigio. Da ieri i social grondano di sofferti commenti, in cui spesso ci si domanda retoricamente se il Paese meriti un presidente del Consiglio come lui. A scrivere non sono solo politici ma giornalisti, opinionisti, conduttori televisivi, opinion maker, personalità di varia estrazione e natura. Dov’erano prima? Dove eravamo tutti, quando abbiamo assistito senza far nulla allo sfacelo progressivo della politica, ma ancor prima del dibattito pubblico? Perché le risposte “alla Piombino” sono diretta conseguenza di un modo di raccontare il Paese che dura da lustri. Fino alle 19:00 di giovedì, diciamola tutta, in moltissimi pensavano che persino Draghi si sarebbe piegato ad accomodare la situazione. Ormai siamo così assuefatti all’andazzo generale che il più grande lascito del capo del governo è ricordarci che sulla dignità non si negozia. La dignità o ce l’hai o non ce l’hai e – per quanto possa ormai apparire stralunato – esistono ancora delle persone per cui questo confine resta invalicabile.   Di Fulvio Giuliani

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