Dall’euro alla politica comune: l’Italia davanti al bivio europeo
Si presenta una doppia occasione, sul fronte europeo e su quello interno dell’Italia, e riguarda l’euro. Un’occasione che sarebbe stolto non cogliere
Dall’euro alla politica comune: l’Italia davanti al bivio europeo
Si presenta una doppia occasione, sul fronte europeo e su quello interno dell’Italia, e riguarda l’euro. Un’occasione che sarebbe stolto non cogliere
Dall’euro alla politica comune: l’Italia davanti al bivio europeo
Si presenta una doppia occasione, sul fronte europeo e su quello interno dell’Italia, e riguarda l’euro. Un’occasione che sarebbe stolto non cogliere
Si presenta una doppia occasione, sul fronte europeo e su quello interno italiano. Un’occasione che sarebbe stolto non cogliere. Perdendola ci si guadagnerebbe un tempo lungo di arretramenti, capace di innescare conflitti politici e sociali. L’occasione riguarda l’euro, che è già una valuta stabile e affidabile e può aspirare ad accrescere il proprio peso internazionale.
La valuta delle transazioni internazionali era e rimane il dollaro, ruolo lungamente consolidato nel tempo. Ma oggi messo sotto pressione, non dalla linea politica di Trump ma dall’impressione che non esista una linea politica stabile e si proceda alla giornata. Riportando più cantonate che successi. Se firmo un contratto e la regolazione dei conti dovrà avvenire dopo settimane o mesi è più facile che sia l’euro a tenersi su un valore costante e prevedibile, piuttosto che il dollaro. Difatti l’euro guadagna quote di mercato, come valuta di riferimento.
Epperò si porta dietro alcune debolezze strutturali, che vi sarebbero le condizioni per superare. È la moneta di molti Paesi ricchi e sviluppati, con un grosso peso nei commerci mondiali, ma non è una moneta dietro le cui spalle c’è un vero mercato unico dei capitali né c’è un unico sistema bancario. Ci sono regole comuni, certamente, ma sono state assai utili nel processo d’integrazione, mentre non bastano per scalare posizioni nel mercato globale. Inoltre è la valuta in cui si contabilizzano debiti nazionali che mantengono molte differenze sia di peso che di rischio, rendendo necessari vincoli di bilancio che non sempre si sono rivelati efficaci nel far fronte a situazioni particolari. Difatti si è dovuto sospenderli e non è sospendendo che si può andare avanti.
Il punto politico della faccenda ci porta al secondo lato dell’occasione, quello nazionale. È evidente l’interesse collettivo – di tutti i Paesi europei e di tutti i cittadini europei – ad avere un mercato unico dei capitali e anche una graduale federalizzazione dei debiti sovrani, finanziandoli con titoli europei, ma è non meno evidente che ciò contrasta con gli interessi di protezione dagli effetti (benèfici) del mercato.
Volere banche europee e cercare di proteggere una banca di amici (e già questo dovrebbe far venire i brividi) dalla scalata di un’altra banca dello stesso Paese, oppure (come capita in Germania) di una banca del medesimo mercato unico monetario, sono due cose inconciliabili. O l’una o l’altra. Volere titoli di debito comune e poi pretendere che i soldi così presi dal mercato ciascuno li spenda come gli pare sono due cose inconciliabili. Volere una difesa comune e lasciare che siano le scelte nazionali a determinarle sono cose contraddittorie.
Abbiamo tutto l’interesse a scegliere e a farlo subito, ma dobbiamo tutti fare i conti con interessi regressivi – che non sono affatto nazionali – che spingono in direzione opposta. Per questo i governi nazionali devono aiutarsi l’un l’altro e non provare a usare questo passaggio l’uno contro l’altro, perché in quel caso favorirebbero i contrari, che travestirebbero i loro interessi egoistici usurpando i colori nazionali.
Nel nostro mondo politico sia la sinistra che la destra hanno sostenuto delle solenni castronerie, circa il processo d’integrazione europea e la moneta unica. La sinistra fu contraria anche al Sistema monetario europeo, la destra ha visto crescere nel suo seno chi prendeva voti chiedendo di uscire dall’euro. Gli uni e gli altri, una volta al governo, si sono rimangiati quel che avevano detto. Meglio così, ma forse è il tempo di indire un banchetto comune, riconoscendo uniti l’irreversibilità di quel processo.
Riconoscere la permanenza di una moneta e di un mercato non significa avere scelto come spendere e cosa comprare, su quello le differenze politiche è bene che restino. È la convergenza nel dire vili castronerie che potrebbe e dovrebbe convertirsi nel coraggio della realtà. L’alternativa consiste nel continuare con le corbellerie, perdendo l’occasione e indebolendo l’Italia.
di Davide Giacalone
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