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merito e demerito

Demerito

Il merito: non ha senso pensare di poterlo praticare solo tra i banchi di scuola o dell’Università ma in primis nel mercato. Il merito funziona solo se si riconosce il demerito.
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Demerito

Il merito: non ha senso pensare di poterlo praticare solo tra i banchi di scuola o dell’Università ma in primis nel mercato. Il merito funziona solo se si riconosce il demerito.
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Il merito: non ha senso pensare di poterlo praticare solo tra i banchi di scuola o dell’Università ma in primis nel mercato. Il merito funziona solo se si riconosce il demerito.
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Il merito: non ha senso pensare di poterlo praticare solo tra i banchi di scuola o dell’Università ma in primis nel mercato. Il merito funziona solo se si riconosce il demerito.
Ci si deve difendere dai luoghi comuni, come anche dall’ipocrisia. Fantastica la valorizzazione del merito, ma funziona solo se si riconosce il demerito. In una gara di velocità c’è chi arriva primo perché c’è chi arriva secondo, altrimenti si sarebbe trattato di uno che stava correndo da solo. E c’è uno che arriva secondo perché non manca il terzo ed esiste l’ultimo. Nel mondo dei moralisti da strapazzo non si può dire “ultimo”, ma lo era. Nulla di male, correva meno velocemente. Ho visto anch’io il sondaggio cui si riferisce il professor Ricolfi, relativo al fatto che tantissimi italiani apprezzano il merito e desiderano sia valorizzato. Prima di festeggiare, però, m’è venuto in mente che siamo generalmente contrari all’evasione fiscale, salvo praticarla. Perché evasori sono sempre gli altri. È vero che ho pagato in bigliettoni il falegname per una riparazione senza fattura, ma volete forse paragonare questo a quelli che arrubbano i miliardi?! In effetti sì, trattasi di evasione. Qualche cosa di simile si produce anche nel campo del merito. Il cattivo voto a scuola era una faccenda seria e sgradevole non in sé, che tanto tutti gli studenti hanno sempre saputo che non si producono tragedie, fra i banchi, per la normale attività didattica. Era sgradevole perché a casa avrebbero rincarato la dose: non esci, non vai a giocare, non ricevi amici e così via punendo il somaro. Da tempo a questa parte va già bene se da casa non partono per pestare il docente, suggerendogli d’essere severo con i potenti e non con i ragazzini e ricordandogli che è tutto un magna magna, sicché la pianti di fare il rompiscatole. Il lato civile di questa reazione si concretizza in un ricorso al Tribunale amministrativo regionale. Per non dire di famiglie che hanno anche il timore di domandare all’interessato come vadano gli studi, dovesse traumatizzarsi il pargolo. La pretesa di cancellare la sfida e il dolore ha prodotto una dolorosa resa all’insipienza. Il merito, poi, mica lo puoi promuovere sui banchi tralasciando d’averlo messo in cattedra. Sicché, al retorico consenso al merito, fatemi anche vedere l’indignata reazione alla millesima “regolarizzazione” dei presunti “precari”. Che poi non ha nulla di regolare, è fuori dai binari costituzionali e si pretende sia precario chi non sia stato debitamente sistemato. Il merito sfiorisce se quotidianamente non s’esercita nella concorrenza, il che comporta non solo la costante misurazione dei risultati – con le classifiche che non siano solo il prodotto di iniziative volontaristiche – ma un metodo stabile per conoscere la realtà e, una volta conosciutala, per indirizzare i soldi dove producono più istruzione. Né ha un senso pensare che il merito possa essere praticato solo dentro i confini della scuola o, il cielo non voglia, dell’università, giacché ha un senso perseguirlo se, una volta usciti, si trova una società competitiva e meritocratica. Altrimenti è stato puro onanismo agonistico. Le cose perfette (per nostra somma fortuna) non esistono, ma di competitivo e meritocratico c’è il mercato. Quel luogo dove la signora sceglie il colore che le piace e il signore il profumo che lo rinvigorisce, con la conseguenza che vince chi è stato bravo a indovinarlo o anche solo a farglielo credere. Ma nell’avere in uggia tutto questo mi pare che la destra e la sinistra facciano a gara. Non si sono divise le parti, si contendono la medesima. E lo hanno fatto perché nei sondaggi si chiede il merito senza accettare il demerito. La destra, magari, con una qualche maggiore enfasi sulla protezione dell’italianità, la sinistra con un poetico accenno alla socialità. Ma condividono l’avversità alla competizione che genera il perdente per dar vita al vincente. Il sei politico di sessantottarda memoria e il dazio protettivo di quel che altrimenti manco i nazionali comprerebbero non sono poi così diversi. Alla destra piace mostrarsi severa, senza severità. Alla sinistra mostrarsi solidale, senza solidarietà. Poi, a seconda di dove si trovano, in maggioranza o all’opposizione, cavalcano il medesimo cavallo, con o senza sella.   di Davide Giacalone

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