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discorso di lavrov

Il discorso di Lavrov: una cozzaglia di assurdità

Stando al discorso di Lavrov, la Russia difenderebbe i valori democratici e i diritti fondamentali dell’uomo. Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti: mentre l’Occidente cerca i colloqui per la pace, Mosca continua nel suo piano criminale.
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Il discorso di Lavrov: una cozzaglia di assurdità

Stando al discorso di Lavrov, la Russia difenderebbe i valori democratici e i diritti fondamentali dell’uomo. Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti: mentre l’Occidente cerca i colloqui per la pace, Mosca continua nel suo piano criminale.
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Il discorso di Lavrov: una cozzaglia di assurdità

Stando al discorso di Lavrov, la Russia difenderebbe i valori democratici e i diritti fondamentali dell’uomo. Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti: mentre l’Occidente cerca i colloqui per la pace, Mosca continua nel suo piano criminale.
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Stando al discorso di Lavrov, la Russia difenderebbe i valori democratici e i diritti fondamentali dell’uomo. Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti: mentre l’Occidente cerca i colloqui per la pace, Mosca continua nel suo piano criminale.
Ieri il ministro degli Esteri russo Lavrov si è esibito in una vera e propria performance. Un compendio in diretta tv della propaganda del Cremlino nella guerra in Ucraina che andrebbe mandato in loop, per far cogliere anche ai più riottosi aspetti fondamentali dell’ideologia e della politica di Vladimir Putin. La Russia, nella visione del Cremlino e nello spot di Lavrov – tenetevi forte – difende i valori democratici, i diritti fondamentali dell’uomo, le sue libertà (d’espressione, di associazione politica, di tensione alla felicità) contro le prevaricazioni dell’Occidente. Quest’ultimo, guidato dagli Usa, sarebbe invece animato da odio per la Russia e la Cina, vorrebbe guidare il mondo unilateralmente, sottomettendo chiunque si opponga alla sua supremazia. Se tutto ciò non fosse stato dichiarato con disarmante serenità da uno dei massimi esponenti del governo che ha aggredito un Paese libero e sovrano, macchiandosi di crimini odiosi, ci sarebbe da ridere. Saremmo a “Borat” e anche oltre. Solo che non è un film, è la realtà con cui dobbiamo fare i conti, i soggetti con cui in qualche modo stiamo cercando di dialogare, mentre quegli stessi definiscono le sanzioni «atti di guerra». Nonostante Putin non abbia mai concesso una chance alla trattativa, anche se adesso le relazioni fra ucraini e russi sono formalmente sospese, i contatti non si sono mai interrotti. Pur nelle giornate condite dalle peggiori minacce verbali, proprio quell’Occidente così cattivo e aggressivo ci ha sempre provato. Ricordate le telefonate di Macron e Scholz, gli umilianti tavoloni imposti da Putin ai leader in processione al Cremlino? Non si ha notizia neppure di un WhatsApp inviato da Mosca verso una qualsiasi capitale dell’Ovest. Che dire, ancora, della telefonata dello scorso venerdì partita dal Pentagono al Ministero della Difesa russo, forse non l’unica, ma l’unica resa nota. Pur dovendo commentare ieri il blocco delle trattative con Mosca, il portavoce ucraino ha aggiunto che – quando si riprenderà – potrebbe sedersi al tavolo direttamente il presidente Zelensky. I militari, almeno loro, sono riusciti a mantenere sempre aperto un qualche precario canale, per gestire scambi di prigionieri, evacuazione di civili e feriti. La stessa leggendaria o famigerata acciaieria Azovstal, a seconda dei punti di vista, potrebbe essere infine sgomberata. Del resto, è chiaro a tutti che il destino della guerra non sarà deciso in ciò che resta di quel gigantesco impianto siderurgico. Un embrione di contatti è sempre rimasto attivo. Ora, si tratta di capire come arrivare al salto di qualità. Ancora una volta, oltre le farneticazioni di Lavrov, qualcosa di sostanziale c’è. Ieri, la Svezia ha formalmente firmato la richiesta di adesione alla Nato, sancendo un’ennesima e clamorosa sconfitta dei disegni egemonici di Vladimir Putin. L’uomo che avrebbe voluto frantumare l’Occidente e imporre una sua sfera di influenza fino ai confini di quello che fu il Patto di Varsavia, si trova due storici Paesi neutrali a Nord della Russia pronti a entrare nell’Alleanza Atlantica. Anche impegnandosi, far peggio sarebbe stato difficile. Nonostante questo smacco, Putin ha abbastanza clamorosamente abbassato i toni, lanciando segnali su ciò che Mosca potrebbe considerare “accettabile”. A cominciare dalla questione delle basi Nato nei due Paesi e il non dispiego di armi nucleari in Svezia e Finlandia. Paradossalmente, sembra agitarsi più un Paese Nato come la Turchia che la Russia, al di là della propaganda e delle spacconate televisive. Il grave problema, che si ripete sempre uguale dal 24 febbraio, è che non c’è un mediatore. Chi ci ha provato ha fallito o è stato semplicemente respinto: Turchia, Israele, Francia, Germania, Onu, persino il Papa. Non ci ha provato la Cina, che è un po’ la grande delusione per l’incapacità (sinora) di assumere un ruolo politico. Pechino si è messa sulle sponde del fiume come il cinese del luogo comune e ora si trova con grossi problemi interni legati al Covid e a un’economia che non va secondo i programmi del partito e del leader. Brutta e scomoda situazione. Di Fulvio Giuliani

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