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“Volete la pace o il condizionatore acceso tutta l’estate?”

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In conferenza stampa Mario Draghi ha lanciato una provocazione che mette allo scoperto la faciloneria e la pochezza di una parte del dibattito pubblico.

“Volete la pace o il condizionatore acceso tutta l’estate?”

In conferenza stampa Mario Draghi ha lanciato una provocazione che mette allo scoperto la faciloneria e la pochezza di una parte del dibattito pubblico.
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“Volete la pace o il condizionatore acceso tutta l’estate?”

In conferenza stampa Mario Draghi ha lanciato una provocazione che mette allo scoperto la faciloneria e la pochezza di una parte del dibattito pubblico.
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“Volete la pace o il condizionatore acceso tutta l’estate?“. Ha molto colpito la domanda retorica posta ieri, nella conferenza stampa successiva al Consiglio dei Ministri che ha approvato il Documento di economia e finanza (Def), dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Domanda rivolta non senza una traccia di esasperazione dal capo del governo a un giornalista che chiedeva conto delle possibili ricadute di un eventuale embargo europeo sul gas russo. Domanda retorica, dicevamo, soprattutto urticante per quel pezzo d’Italia che riesce a mettere sullo stesso piano l’allucinante guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina e i disagi quando andiamo a fare il pieno di benzina o paghiamo le bollette di luce e gas. Sia chiaro, qui nessuno oserebbe negare le ricadute economiche su cui ragioniamo praticamente ogni giorno e tenderemmo a escludere possa farlo un uomo della preparazione di Mario Draghi in materia… Il punto è un altro: il presidente del Consiglio con quella domanda condita da amaro sarcasmo ha reagito alla faciloneria e alla pochezza di una parte del dibattito pubblico di questi giorni. A quell’Italia che si ostina a sminuire, far finta di non capire, che gira la faccia dall’altra parte pur di poter alzare la voce sui social su gas e benzina come se nulla fosse. Come se gli orrori di Bucha e i mille altri che stanno emergendo non esistessero, secondo la versione della propaganda da quattro soldi del Cremlino. Quell’Italia che fa finta di dimenticare Vladimir Putin o non lo cita o, se lo cita, aggiunge immediatamente dopo l’imbarazzante litania sulle colpe della Nato, dell’Occidente e ovviamente degli Stati Uniti d’America. L’Italia del “e allora la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia“. Quel pezzo di Paese reduce da anni di populismo e benaltrismo, che non legge nulla di più di un paio di tweet dei soliti pifferai ed è alimentato dalla peggiore propaganda che possa esistere: quella della mediocrità elevata a sistema. Una visione piccola e provinciale della vita e dei fatti del mondo, in cui ci si illude di potersi fare gli affari propri, rinchiudersi in un microcosmo un po’ squallido, ma accogliente (agli occhi di chi ci crede). Quel pezzo di mondo che è intorno a noi e che si è inebriato delle parole d’ordine sovraniste, che ha urlato alla ‘dittatura sanitaria’ e oggi è pronto alla pugna per il condizionatore. Ecco perché ha dato così fastidio quella risposta un po’ acida di Mario Draghi. Ha toccato un nervo scoperto, come quando fai notare a taluni il giochino del non nominare mai Putin. Mai. di Fulvio Giuliani

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