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conseguenze guerra in ucraina

Dopo la guerra

Quando la guerra sarà finita, dovremo essere capaci di ripartire senza commettere, di nuovo, gli errori che hanno ostacolato la nostra crescita in passato.
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Dopo la guerra

Quando la guerra sarà finita, dovremo essere capaci di ripartire senza commettere, di nuovo, gli errori che hanno ostacolato la nostra crescita in passato.
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Quando la guerra sarà finita, dovremo essere capaci di ripartire senza commettere, di nuovo, gli errori che hanno ostacolato la nostra crescita in passato.
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Quando la guerra sarà finita, dovremo essere capaci di ripartire senza commettere, di nuovo, gli errori che hanno ostacolato la nostra crescita in passato.
Il criminale Putin ha riportato la guerra in Europa. Ha trasformato una Unione europea e un Occidente che facevano ponti d’oro perché la Russia fosse parte del multilateralismo pacifico – sia con accordi Nato che con accostamenti al G7 – in un’area di civiltà che individua nella Russia la principale minaccia per la civiltà. Ha ribaltato la politica estera e commerciale della Germania, che per ragioni storiche e geopolitiche era molto sensibile alle aperture verso Est. Il criminale Putin sprofonderà. Tocca ai russi stabilire se sprofondare con lui. Anche in momenti come questi, anche quando il linguaggio di guerra torna incredibilmente a essere normale, occorre sapere guardare al dopo. In quel dopo collocare non solo la massima convivenza pacifica possibile, ma anche il proprio Paese e i suoi interessi. Qui vediamo gli aspetti economici, che, però, hanno bisogno di coerenza e copertura politica. In tal senso è evidente che il senatore Vito Rosario Petrocelli deve essere rimosso dalla presidenza della Commissione Esteri del Senato. Egli ha invitato il suo partito, il Movimento 5 Stelle, a uscire dal governo giacché è stato deciso di inviare armi all’Ucraina. Naturalmente la sua voce è irrilevante, salvo che nel dimostrare che il nostro è un mondo libero. Ma non può restare alla presidenza. Si dovrebbe poter contare sulla sua dignità e accettarne le dimissioni, ma in difetto va cacciato. Non tocca al governo farlo, ovviamente. Tocca alle forze politiche ma, direi, tocca prima di tutto al Partito democratico, che ha scelto il partito del senatore come alleato. Puntiamo l’orologio. La guerra porta con sé conseguenze che incidono negativamente sullo sviluppo. Per l’anno in corso era prevista una crescita del prodotto interno lordo nella misura del 4,3%. Il governo immagina che si attesterà al 3%, ma sulla base di una breve durata del conflitto. Un doppio ottimismo, alla luce dei fatti. Il nostro dovere è pensare oggi a quel che servirà domani. Naturalmente differenziare sia le fonti d’energia che i fornitori di materie prime. La lezione è stata dura, l’importante è capirla e farne tesoro. Ma quella è una precondizione, per la ripartenza serve anche altro e ci serve da dentro casa nostra. Faremmo bene a guardare due casi esemplari: la ricostruzione di Amatrice, dopo il terremoto, e gli asili nido. Esemplari perché spese già finanziate e opere non realizzate, nel primo caso, o di fondi neanche richiesti, nel secondo. Per gli asili nido, di cui abbiamo estremo bisogno e che sono uno degli elementi con cui contrastare la denatalità, sono stati stanziati 2,4 miliardi e ne sono stati richiesti 1,2. La metà. In entrambi i casi i soldi ci sono, ma non si è capaci di spenderli. Perché mancano i progetti o i professionisti per esaminarli, perché la burocrazia ferma quel che si deve fare o non riesce a farlo. Il che porta con sé un altro effetto distorcente: siccome i soldi vanno comunque spesi – altrimenti, come tutti quelli del Pnrr, spariscono – a un certo punto si andrà alla caccia di progetti immediatamente cantierabili e realizzabili, con il risultato che le amministrazioni pubbliche locali più efficienti avranno più soldi delle altre, così accrescendo anziché diminuendo gli squilibri territoriali. Alla base di questo orrore ci sono errori che ancora vengono difesi, capaci di affondarci. Il primo errore è tenersi una scuola non selettiva, che proprio in quanto tale, per usare un linguaggio del secolo scorso, è classista. Il secondo è pensare che la concorrenza, nel mercato globale, si faccia solo sul fronte delle produzioni a basso costo, laddove, al contrario, la nostra vocazione è vincere in quelle ad alta specializzazione e innovazione. Il che richiede competenze (anche nella classe politica, quindi ricordatevi di cacciare quel presidente). Il terzo è pagare poco chi ha più valore, come se puntare ai soldi fatti con il lavoro sia una bassezza anziché una nobilissima virtù. Il quarto è pagare troppo il non lavoro, così incentivandone la crescita parassitaria. Tutti errori che contengono in sé la soluzione, peraltro assai più facile e conveniente che non accudirli manco fossero conquiste. Questo è il dovere che attende il governo, il legislatore e ciascuno di noi. Perché la guerra sarà vinta, il che renderebbe oltraggioso perdere poi la pace. di Davide Giacalone  

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