Il nome: certo, il nome. Il vertice: sicuro, il vertice. La candidatura: come no, la candidatura. La donna: perbacco, la donna. Si può continuare o, per decenza, fermarsi qui. A una manciata di ore dal primo scrutinio per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, tutto l’armamentario che precede, segue e contorna l’apoteosi dei grandi elettori è stato sciorinato. I retroscenisti sono in sollucchero per quanto un po’ straniti dalla confusione che regna sovrana; quelli a cui piace «determinare le cose» – diciamo da Jep Gambardella a Goffredo Bettini – vaticinano scenari il più delle volte eterei.
In questo contesto ‘fluido’, male non farebbe ancorarsi a qualcosa di solido. Per esempio impegnarsi a tenere unita una maggioranza che seppur a tentoni e in qualche occasione col passo del gambero, comunque da un anno dà senso alla parola governabilità. Guidata da un presidente del Consiglio che, per carità, ha i suoi limiti e magari anche le sue ambizioni, ma che gode di un prestigio e di una autorevolezza come pochi altri italiani in passato, dentro e fuori i confini italiani.
Questa maggioranza e questo presidente del Consiglio sono il frutto di una intuizione di Sergio Mattarella che ha consentito di realizzare quel che sembrava un’iperbole politica, un gioco di prestigio: mettere insieme una coalizione da Salvini a Conte passando per Berlusconi, Renzi ed Enrico Letta, capace di marciare compatta e affrontare le emergenze sanitarie ed economiche; di predisporre un piano vaccinale concreto ed efficace e stilare un Pnrr in grado di far battere le mani alla Commissione europea.
Mica male, no? Naturalmente manchevolezze ed errori ci sono stati e come sempre solo chi fa sbaglia.
Però se oggi lo stellone italiano brilla di luce propria, se le testate internazionali non possono che parlar bene del Belpaese e addirittura in qualche caso portarlo a esempio, se i partner europei si rivolgono a Roma privi di sufficienza e vogliosi di interloquire, beh sono fatti indiscutibili e importanti.
Talmente indiscutibili e importanti che risulta obbligatorio tutelarli. Salvaguardare cioè la maggioranza e il timoniere. Forse quest’ultimo traslocherà da Palazzo Chigi al Quirinale e bisognerà trovare un degno sostituto, o forse no. Ma il punto non è il destino di Draghi o di chicchessia. Il punto è non picconare l’equilibrio politico che ha consentito di raggiungere obiettivi così significativi. Chi per velleità personale o di schieramento vanifica le cosiddette larghe intese deve sapere che si carica sulle spalle una responsabilità enorme. I grandi elettori mandino sul Colle chi vogliono: ma la maggioranza che sostiene il governo è un patrimonio che disperdere sarebbe un suicidio.
di Carlo Fusi
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche

L’Europa alla ricerca della centralità
30 Maggio 2025
Dalla politica estera ai rapporti commerciali, l’Europa affronta la sua sfida alla centralità. E…

I dazi europei non esistono
29 Maggio 2025
I dazi europei non esistono. Non sono mai esistiti, dopo il Mercato comune. La nostra è un’area …

Domande e dubbi sul decreto legge sulla Sicurezza
29 Maggio 2025
Nella seduta dell’Assemblea costituente del 4 marzo 1947 Piero Calamandrei fa sfoggio d’ironia. …

Elezioni comunali, le nette vittorie del centrosinistra e le conseguenze
26 Maggio 2025
La maggioranza farà bene a non derubricare, l’opposizione a non esaltarsi. Il risultato della to…
Iscriviti alla newsletter de
La Ragione
Il meglio della settimana, scelto dalla redazione: articoli, video e podcast per rimanere sempre informato.