Una classe politica nel suo complesso mediocre, uscita da una presunta quanto non compresa ‘fine della storia’ nel dopo 1989, non è ancora riuscita a metabolizzare con lucidità cause ed effetti dell’attacco a Capitol Hill di un anno fa.
Di sicuro il sentiment del popolo statunitense è assai diverso dal nostro: una nazione con centinaia di milizie private che considerano lo Stato come un usurpatore e dove meno di un cittadino su dieci ha fiducia nel Parlamento, non si straccia certo i capelli per un branco di cialtroni che assaltano il Congresso.
L’impossibilità di non essere impero, con i relativi costi, ha riacutizzato negli Stati Uniti una serie di contraddizioni economiche, sociali e financo razziali mai del tutto sopite. E il primo e indispensabile strumento di una democrazia per incanalare le tensioni sono regole del gioco chiare e condivise.
Stupisce allora che nessuno parli ad esempio della legge elettorale, alla luce delle violente polemiche che si registrano puntualmente fin dai tempi del duello Bush-Gore. Le regole per l’elezione del presidente degli Stati Uniti riflettono una concezione oligarchica e ultimamente opaca della politica, quasi a voler tener lontano il popolo dal cuore delle decisioni.
I padri fondatori vollero che si votasse il martedì, Stato per Stato e solo dopo essersi registrati. Si vota all’inizio di novembre per i grandi elettori che, a loro volta, scelgono il presidente il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre.
La transizione fra l’amministrazione uscente e quella entrante è forse la più lunga che mai si sia concepita, quasi tre mesi (fino al 1933 l’insediamento avveniva il 3 marzo!) e fu pensata probabilmente come una sorta di camera di compensazione politica per attuare aggiustamenti volti a evitare strappi destabilizzanti.
Durante la Guerra di secessione venne poi introdotto il voto postale, che mette a dir poco in discussione la riservatezza del suffragio (e noi, con il voto degli italiani all’estero, ne sappiamo qualcosa).
Nel 2020 quasi 101 milioni di statunitensi (64% dei votanti) hanno votato via posta a partire da settembre e alcuni Stati hanno accettato come valide schede arrivate intorno alla metà di novembre. Pensare che queste regole possano funzionare con un candidato senza alcun scrupolo come Trump è perlomeno da ingenui. Infatti il magnate è ancora saldamente in sella. Non affrontare la questione potrebbe avere per gli Stati Uniti conseguenze molto gravi, già a partire dal 2024.
di Fabio Torrembini
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