Regole del gioco da rivedere se un giocatore punta alle rotture istituzionali
| Politica
Gli Stati Uniti necessitano di regole del gioco chiare e condivise per disinnescare le tensioni di un popolo totalmente sfiduciato. Le regole per l’elezione del presidente degli Stati Uniti riflettono una concezione oligarchica e opaca della politica, tenendo lontano il popolo dal cuore delle decisioni.

Regole del gioco da rivedere se un giocatore punta alle rotture istituzionali
Gli Stati Uniti necessitano di regole del gioco chiare e condivise per disinnescare le tensioni di un popolo totalmente sfiduciato. Le regole per l’elezione del presidente degli Stati Uniti riflettono una concezione oligarchica e opaca della politica, tenendo lontano il popolo dal cuore delle decisioni.
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Regole del gioco da rivedere se un giocatore punta alle rotture istituzionali
Gli Stati Uniti necessitano di regole del gioco chiare e condivise per disinnescare le tensioni di un popolo totalmente sfiduciato. Le regole per l’elezione del presidente degli Stati Uniti riflettono una concezione oligarchica e opaca della politica, tenendo lontano il popolo dal cuore delle decisioni.
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Una classe politica nel suo complesso mediocre, uscita da una presunta quanto non compresa ‘fine della storia’ nel dopo 1989, non è ancora riuscita a metabolizzare con lucidità cause ed effetti dell’attacco a Capitol Hill di un anno fa.
Di sicuro il sentiment del popolo statunitense è assai diverso dal nostro: una nazione con centinaia di milizie private che considerano lo Stato come un usurpatore e dove meno di un cittadino su dieci ha fiducia nel Parlamento, non si straccia certo i capelli per un branco di cialtroni che assaltano il Congresso.
L’impossibilità di non essere impero, con i relativi costi, ha riacutizzato negli Stati Uniti una serie di contraddizioni economiche, sociali e financo razziali mai del tutto sopite. E il primo e indispensabile strumento di una democrazia per incanalare le tensioni sono regole del gioco chiare e condivise.
Stupisce allora che nessuno parli ad esempio della legge elettorale, alla luce delle violente polemiche che si registrano puntualmente fin dai tempi del duello Bush-Gore. Le regole per l’elezione del presidente degli Stati Uniti riflettono una concezione oligarchica e ultimamente opaca della politica, quasi a voler tener lontano il popolo dal cuore delle decisioni.
I padri fondatori vollero che si votasse il martedì, Stato per Stato e solo dopo essersi registrati. Si vota all’inizio di novembre per i grandi elettori che, a loro volta, scelgono il presidente il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre.
La transizione fra l’amministrazione uscente e quella entrante è forse la più lunga che mai si sia concepita, quasi tre mesi (fino al 1933 l’insediamento avveniva il 3 marzo!) e fu pensata probabilmente come una sorta di camera di compensazione politica per attuare aggiustamenti volti a evitare strappi destabilizzanti.
Durante la Guerra di secessione venne poi introdotto il voto postale, che mette a dir poco in discussione la riservatezza del suffragio (e noi, con il voto degli italiani all’estero, ne sappiamo qualcosa).
Nel 2020 quasi 101 milioni di statunitensi (64% dei votanti) hanno votato via posta a partire da settembre e alcuni Stati hanno accettato come valide schede arrivate intorno alla metà di novembre. Pensare che queste regole possano funzionare con un candidato senza alcun scrupolo come Trump è perlomeno da ingenui. Infatti il magnate è ancora saldamente in sella. Non affrontare la questione potrebbe avere per gli Stati Uniti conseguenze molto gravi, già a partire dal 2024.
di Fabio Torrembini
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Tag: politica, Stati Uniti
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