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Eppur s’inventa

Antonio Di Pietro, l’ex pm della cosiddetta ‘rivoluzione’ di Mani pulite, ha aperto il cassetto della memoria in un’intervista a “L’Espresso”

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Antonio Di Pietro, l’ex pm della cosiddetta ‘rivoluzione’ di Mani pulite, ha aperto il cassetto della memoria in un’intervista a “L’Espresso”

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Antonio Di Pietro, l’ex pm della cosiddetta ‘rivoluzione’ di Mani pulite, ha aperto il cassetto della memoria in un’intervista a “L’Espresso”

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Antonio Di Pietro, l’ex pm della cosiddetta ‘rivoluzione’ di Mani pulite, ha aperto il cassetto della memoria in un’intervista a “L’Espresso”

L’oblio è una brutta bestia. Trascorri anni della tua vita sotto i riflettori, il tuo petto si ricopre di medaglie, sui muri il popolo inneggia al tuo nome e poi – piano piano – tutto trasecola nel silenzio, i muri si scrostano o altre star vengono istoriate, le medaglie impolverate ormai nel cassetto della memoria. Capita a molti, soprattutto a chi per una stagione è stato il deus ex machina della quotidianità, l’uomo che tutto poteva e molto ha potuto, l’ex pubblico ministero della cosiddetta ‘rivoluzione’ di Mani pulite, Antonio Di Pietro. Il quale ha aperto il cassetto della memoria per una intervista a “L’Espresso”. Mettendo insieme pezzi condivisibili di verità storica con evidenti fake news, come si dice oggi (‘bufale’, come si chiamavano ieri).

Secondo Di Pietro, Raul Gardini si sarebbe suicidato «per disperazione: sapeva che quella mattina del luglio 1993, accompagnato dai suoi avvocati, doveva fare il nome (davanti allo stesso Di Pietro in Procura a Milano, ndr.) di Salvo Lima, che aveva ricevuto una parte della tangente Enimont da 150 miliardi di lire». Insomma, il ‘corsaro’ Raul Gardini – uomo potente e disinvolto quanto bastava per essere considerato un vero pirata – era impaurito all’idea di dover fare la spia su Salvo Lima. Già, ma il vecchio democristiano siciliano (corrente Andreotti, già sindaco di Palermo) era morto, assassinato in un agguato mafioso il 12 marzo 1992. Sì, un anno prima che il tremebondo Raul avrebbe dovuto, secondo Tonino, confessare quel nome. Scusi dottor Di Pietro, ma che c’azzecca?

I lettori di questo giornale hanno già avuto modo di conoscere la mia opinione, basata su fatti, sul ‘suicidio’ di Sergio Castellari, direttore delle Partecipazioni statali a Roma, nonché su quelli di Gabriele Cagliari nel carcere di San Vittore e di Gardini nella sua casa milanese in piazza Belgioioso. Ho sempre sostenuto che, nel giro di quei pochi mesi del 1993, si sia trattato di ‘suicidati’.

Prosegue Di Pietro: «Mani pulite nasce dal maxiprocesso di Palermo, quando Buscetta rivela a Falcone l’accordo tra il Gruppo Ferruzzi e la mafia». Che Buscetta dagli Stati Uniti abbia delineato quel legame è senz’altro vero. Ma l’inchiesta di Milano aveva un obiettivo eminentemente politico: la distruzione sistematica dei principali partiti della prima Repubblica. Non invece quella di Falcone, che peraltro era poco incline a credere al legame tra politica e mafia.

Per Di Pietro Mani pulite non è stata fermata dalla politica ma… dai giudici. Bene, fuori i nomi allora. «Se Gardini parlava, se Lima non moriva, io avrei potuto avere elementi sufficienti per chiedere al Parlamento di arrestare Giulio Andreotti». Caro Di Pietro, con i se e i ma non si fa la storia. E poi, non era Bettino Craxi l’obiettivo numero uno?

di Andrea Pamparana

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