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Essenziale ruolo dei partiti politici

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La democrazia ha ancora bisogno dei partiti politici? In apparenza verrebbe da rispondere di no. Ma tante cose sono cambiate negli anni

Partiti politici

Essenziale ruolo dei partiti politici

La democrazia ha ancora bisogno dei partiti politici? In apparenza verrebbe da rispondere di no. Ma tante cose sono cambiate negli anni

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Essenziale ruolo dei partiti politici

La democrazia ha ancora bisogno dei partiti politici? In apparenza verrebbe da rispondere di no. Ma tante cose sono cambiate negli anni

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La democrazia ha ancora bisogno dei partiti politici? In apparenza verrebbe da rispondere di no. Da quando nella seconda metà dell’Ottocento, sul modello della socialdemocrazia tedesca, in tutte le democrazie occidentali sono fioriti partiti politici di massa strutturati, organizzati e finanziati, i tempi sono in effetti radicalmente cambiati. La crisi delle ideologie e l’annacquamento delle differenze storiche tra destra e sinistra hanno ampliato i margini d’azione dei leader politici. Oggi usi a collocarsi (e di conseguenza a collocare i propri seguaci) secondo le convenienze del momento. Senza alcuna coerenza con le posizioni assunte nel recente passato.

Il fenomeno della disintermediazione – evidentemente acuito dalla diffusione dei social network e dal loro progressivo prevalere sull’informazione politica tradizionale – sembra rendere inutile e forse anche dannosa l’esistenza di strutture politiche organizzate. Che per loro natura tendono a resistere alla volubilità tattica dei propri leader di riferimento. Evidentemente trasferita nell’agone politico, la logica oppositiva dei social incoraggia l’assunzione di posizioni ‘contro’. E scoraggia di conseguenza il dibattito e il confronto interno. Che per un secolo e mezzo hanno rappresentato una delle principali funzioni dei partiti politici tradizionali. Il leaderismo, fenomeno epocale cui sono – chi più, chi meno – soggetti sia i vecchi sia i nuovi partiti politici, rifugge dal concetto di minoranza interna. Scoraggiando di conseguenza la strutturazione di luoghi all’interno dei quali questa possa eventualmente prendere corpo e diffondersi.

I tempi, dunque, sembrano essere in netto contrasto con la permanenza di partiti politici strutturati e organizzati. E l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti – decretata dai cittadini italiani con il referendum del 1993 e incoraggiata dai leader politici del momento, nella vana speranza di riconnettersi con l’opinione pubblica – ha apparentemente suggellato questa nuova era della politica. In linea con i tempi moderni.

Ma cos’hanno prodotto, dal punto di vista della qualità politica, i tempi moderni? Hanno prodotto leadership fragili, istintivamente portate a contornarsi di personale politico servile. E hanno prodotto governanti improvvisati. Giunti a ricoprire la funzione di sottosegretario, viceministro o ministro della Repubblica non al termine di un cursus honorum decennale. Ma improvvisamente, il più delle volte senza che le proprie, reali qualità politiche e di governo fossero state in alcuna maniera testate. Hanno prodotto programmi e proposte politiche ispirate non dallo studio, dal confronto e dalla sedimentazione storica ma dalla necessità di dare risposte immediate e necessariamente superficiali alle domande che, di momento in momento, si levano (o sembrano levarsi) dalla società.

La qualità della democrazia non sembra insomma aver tratto alcun beneficio dalla progressiva eclissi dei partiti politici. Anzi, molti indicatori ci inducono a ritenere il contrario. Qualcosa, però, si sta muovendo. Anche se ancora prevalentemente sotto traccia, in Parlamento si sta discutendo di una nuova legge elettorale che, al netto dei calcoli strumentali di questo o quel proponente, sembrerebbe orientata a ripristinare un rapporto diretto tra eletti ed elettori, ponendo fine allo scempio delle liste bloccate. Ammesso che il confronto porti a una reale riforma, potrebbe essere quella l’occasione per discutere sull’opportunità di ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti politici e, magari, di dare concreta attuazione all’articolo 49 della Costituzione che ne prescrive il «metodo democratico».

di Andrea Cangini

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