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Fassino busta paga

Fassino, la busta paga e la sostanza

La polemica scatenata dall’intemerata di Fassino, con tanto di sventolio del cedolino della sua busta paga nell’emiciclo di Montecitorio, sarebbe stata degna di un film di Zalone
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La polemica scatenata dall’intemerata dell’ex leader del Partito democratico Piero Fassino, con tanto di sventolio del cedolino della sua busta paga nell’emiciclo di Montecitorio, sarebbe stata degna di un film di Zalone.

Peccato che la scenetta-sceneggiata sia andata in scena nel luogo più sacro della Repubblica, il Parlamento.

Motivo del contendere, la difesa appassionata del già sindaco di Torino del ruolo dei rappresentanti eletti dal popolo (sin qui benissimo) e degli stipendi a loro riservati (anche qui nulla da dire, come spiegheremo), che la stessa Camera ha chiesto di equiparare ai colleghi senatori con un aumento di circa 2000 euro lordi.

Senza entrare nel merito dell’opportunità di questo auto-aumento, Piero Fassino in buona sostanza ha difeso la categoria dalla classica e abusata accusa di godere distipendi d’oro“, mostrando i circa 4700 euro di corrispettivo mensile in busta.

Detto che pochi non sono in assoluto e ricordato che oggi si sprecano le ricostruzioni di quanto la cifra finale sia ben più alta fra diarie ed appannaggi vari, il tema cruciale non è fare i conti in tasca a deputati e senatori.

Questo lo lasciamo con grande piacere ai populisti sempre attivi dietro l’angolo, quelli che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e poi il tonno se lo so’ magnato sino all’ultimo trancio…

La verità è che se ci fossero efficienza, competenza, impegno, dedizione e soprattutto risultati ben superiori a quanto regolarmente siamo abituati, non saremmo mai e poi mai fra coloro pronti a sparare ad alzo zero contro qualsivoglia stipendio riconosciuto ai politici. Se vali, meriti ed è giustissimo essere pagati. Anche di più. Come nel settore privato, come in qualsiasi attività professionale.

Il problema non sono i 4700, 6000 o 10.000 euro, il problema è la qualità del lavoro espresso. E la coscienza di sé e del ruolo.

Proprio nel giorno del sventolio del cedolino in Aula, i deputati sono riusciti nell’impresa di condurre un’eroica battaglia contro il dress-code. No alla cravatta (cosa avrà mai fatto di male la cravatta ai signori parlamentari di Montecitorio…) e sì alle sneakers. Una volgarizzazione della forma, che purtroppo troppe volte trova corrispondenza nel default della sostanza.

 

di Fulvio Giuliani

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