Fiducia sul decreto rave party
Ha una ragione tecnica la scelta di porre la fiducia sul decreto rave, ma sono soprattutto quelle politiche a imporre una riflessione
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Fiducia sul decreto rave party
Ha una ragione tecnica la scelta di porre la fiducia sul decreto rave, ma sono soprattutto quelle politiche a imporre una riflessione
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Fiducia sul decreto rave party
Ha una ragione tecnica la scelta di porre la fiducia sul decreto rave, ma sono soprattutto quelle politiche a imporre una riflessione
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Ha una ragione tecnica la scelta di porre la fiducia sul decreto rave, ma sono soprattutto quelle politiche a imporre una riflessione
La scelta di porre la questione di fiducia sul decreto relativo ai rave party ha una ragione tecnica: mancano poche ore alla sua scadenza, l’opposizione fa il suo mestiere opponendosi, l’approvazione della legge di bilancio ha preso tempo e quindi il governo rischia di vederlo decadere. Accanto alle questioni di tecnica legislativa, però, ve ne sono di politiche e non trascurabili: è originale che il governo ponga la fiducia su un testo la cui urgenza era dubbia e che, comunque, è stato considerato sbagliato dallo stesso governo, avendo provveduto a modificarlo su questioni non marginali.
Già che il governo modifichi un decreto che ha emanato è contro la natura stessa della decretazione d’urgenza, ma che poi pretenda l’approvazione senza modifiche delle modifiche resesi necessarie forse è troppo. Tanto più che l’idea stessa del testo originario faceva a pugni con l’impostazione che il ministro della Giustizia tentava di dare all’intera materia, visto che Nordio proponeva di depenalizzare diversi reati e qui se ne introduce uno nuovo.
Più in generale ancora, del resto, va ricordato che non c’è nulla di male a volere maggiore severità e rigore repressivo, ma ciò richiede la precisione che qui è mancata e necessita di far funzionare la giustizia. Altrimenti il preteso rigore delle norme diventa inutile declamazione, sulla scia delle gride di manzoniana memoria. Il passaggio è delicato e per il governo imbarazzante, ma pesa anche il tema della credibilità.
di Sofia Cifarelli
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