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Fitto

Fitto, ministro in transito

È palese che il via libera a Fitto rappresenti un successo del governo italiano e anche personale della presidente del Consiglio

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Fitto, ministro in transito

È palese che il via libera a Fitto rappresenti un successo del governo italiano e anche personale della presidente del Consiglio

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È palese che il via libera a Fitto rappresenti un successo del governo italiano e anche personale della presidente del Consiglio

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È palese che il via libera a Fitto rappresenti un successo del governo italiano e anche personale della presidente del Consiglio

Chissà quanto consapevolmente emulando Paolo di Tarso (che di fronte ai suoi aguzzini che volevano flagellarlo sbottò «Sono cittadino romano» e grazie a questo riuscì a salvarsi), Raffaele Fitto dinanzi ai rappresentanti dei gruppi del Parlamento europeo – per superare dubbi e ostilità a sinistra (ma non solo) e tagliare il traguardo della vicepresidenza della Commissione – assicura che è lì non in quanto esponente di FdI e neppure in rappresentanza stretta dell’Italia, bensì perché «europeo e a favore dell’Europa». Bella mossa, non c’è che dire: ci si perdoni la blasfemia, ma da cristiano a democristiano emerge una discreta colleganza.

È verosimile che la fiducia nella Ue, unitamente a qualche accorta resipiscenza sul Next Generation («Se si votasse oggi sarei favorevole»), possa garantire all’ormai ex ministro il lasciapassare per l’incarico. Ma a ben vedere – anche perché, se dovesse accadere il contrario, la botta per l’Italia e per Meloni sarebbe catastrofica – il valore politico è altrove. È palese che il via libera a Fitto rappresenti un successo del governo italiano e anche personale della presidente del Consiglio la quale, pur non avendo votato a favore della Von der Leyen, si ritrova con un suo emissario in una posizione privilegiata nella Commissione: fermo restando che anche alla presidente tedesca poter contare sul Belpaese fa piuttosto comodo, visto il vento assai poco favorevole all’Europa in quanto soggetto politico-economico che soffia all’indomani della vittoria negli Usa di Donald Trump.

Tuttavia l’affermazione di Fitto comporta non trascurabili conseguenze politiche. Prima fra tutte la scelta di campo. Un ministro dell’esecutivo italiano di centrodestra, coalizione spesso e volentieri accusata di peraltro rivendicato sovranismo anti-Bruxelles, che dichiara senza mezzi termini di aderire ai programmi continentali e di riconoscersi nelle indicazioni della Von der Leyen non è roba che si sente tutti i giorni e rappresenta un discrimine dal quale sarà notevolmente impervio tornare indietro.

E poi ci sono le ricadute interne. Fitto era il deus ex machina del Pnrr, cioè del flusso di risorse verso l’Italia più massiccio dal piano Marshall in poi. Nonostante le strumentali rassicurazioni cosparse nel corso dell’audizione («Dombrovskis ha detto che Roma sta rispettando i tempi»), è risaputo che nella cosiddetta ‘messa a terra’ del Piano siamo indietro e nessuno può saperlo meglio di Fitto, che di quel dossier era appunto il responsabile. Ebbene, se nel voto odierno tutto andrà secondo copione, chi ne prenderà il testimone nell’esecutivo? Abbiamo tutti capito che la cloche rimarrà saldamente a Palazzo Chigi, ma dove e come si lavorerà per recuperare il tempo perduto? Chi sarà il responsabile operativo e con quali strumenti e coordinamenti agirà?Meloni al momento si è ben guardata da rispondere a tali interrogativi, saggiamente volendo prima attendere che il capitolo Commissione si chiuda favorevolmente. Però da dopodomani il problema si porrà in tutta la sua rilevanza e scantonare non sarà possibile. Certo, sarebbe perniciosamente paradossale se alla fine Fitto si trovasse nelle condizioni di dover aprire un procedimento contro l’Italia per inadempienze accertate…

Non succederà, è ovvio (e auspicabile). Ma il mandato della Commissione si svolgerà nei prossimi anni in un contesto sia politico che economico fortemente turbolento: errori di approccio e di condotta non sono ammissibili. Sapendo anche che per l’Italia gli esami non finiscono mai e ci sono un mucchio di ragioni a determinare quella condizione, prima fra tutte la scarsa fiducia di cui gode il nostro Paese. E qui sorge un altro interrogativo: quanto è conveniente per un verso governare e per l’altro fare opposizione ogni volta col viso dell’arme? La bava alla bocca che tanto sembra piacere ai leader nostrani deturpa i lineamenti. Meglio smetterla.

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