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Fluidità politica

Viviamo nell’epoca dell’indistinto, nella fase delle fluidità descritta da Bauman che in politica diventa cancellazione delle differenze

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Viviamo nell’epoca dell’indistinto, nella fase delle fluidità descritta da Bauman che in politica diventa cancellazione delle differenze

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Viviamo nell’epoca dell’indistinto, nella fase delle fluidità descritta da Bauman che in politica diventa cancellazione delle differenze

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Viviamo nell’epoca dell’indistinto, nella fase delle fluidità descritta da Bauman che in politica diventa cancellazione delle differenze

E anche questo primo maggio è andato. Col corredo del tradizionale concertone, i comizi dei leader sindacali stentorei contro il governo, le parole d’ordine sul lavoro che non c’è sparse come concime d’antan, le bordate delle opposizioni, le spallucce della maggioranza. È una festa iconica della sinistra, anche se poi l’idea di una giornata dedicata al lavoro è nata negli Usa e se fra le prime cose che fece Hitler una volta arrivato al potere nel 1933 fu appunto istituire una specifica festività per i lavoratori il primo maggio. Il giorno dopo sciolse i sindacati.

Celebrazione inutile e retorica perciò? Non scherziamo. Il primo maggio non si tocca. Casomai bisognerebbe sceverarlo e capire la sua valenza fattuale oltre che simbolica nel Terzo millennio. E si potrebbe partire dal fatto che Schlein e Landini inneggiano alla data nel mentre raccolgono le firme per abolire il Jobs Act, provvedimento voluto dal Pd anche se a guidarlo c’erano altri e votato da parecchi parlamentari democrat che oggi dovrebbero rinnegare nelle piazze quella scelta. Oppure dalla destra che orgogliosamente sciorina numeri sull’occupazione che cresce derubricando che i salari sono fermi, il potere d’acquisto cala e la produttività rimane un miraggio.

Ma se scaviamo ancora di più possiamo accorgerci che il vero paradosso non sta nelle contraddizioni che si accavallano quanto nella loro mancanza. La realtà, infatti, è che viviamo nell’epoca dell’indistinto, nella fase delle fluidità descritta da Bauman che in politica diventa cancellazione delle differenze e annegamento delle identità. Così succede che all’assemblea di FdI scroscino applausi per Enrico Berlinguer (ricordate quando il Comune di Terracina voleva intitolare una piazza a lui e ad Almirante?); oppure che Gianni Alemanno e Marco Rizzo raccolgano firme per presentarsi alle elezioni sotto lo stesso simbolo. O ancora che Salvini sposti che più a destra non si può l’asse della Lega nata antifascista (la porcilaia di An bollata da Bossi) o che Giuseppe Conte bolli di incoerenza tutti, lui che accolse i soldati russi in Italia mentre autorizzava il ministro della Giustizia statunitense a incontrare i servizi segreti.

Ricorrere alla categoria del trasformismo, perla tutta italica, è limitativo. Una volta la distinzione la davano le ideologie e se Berlinguer e Almirante si parlavano era perché ciascuno presidiava la propria identità e su quella base poteva confrontarsi con l’avversario. Cadute quelle dovevano rimanere gli ideali a differenziare un campo politico dall’altro: ideali che tuttavia hanno subìto un processo di erosione e degenerazione al punto che la fluidità è diventata una indistinta mota, astorica e acritica, nella quale si inabissano obiettivi e aspirazioni, fedi e pensieri.

Non solo. L’assenza di idee (sulle idealità il discorso è troppo lungo per affrontarlo in queste poche righe) oltre a confondere produce fenomeni sostitutivi perniciosi. Se volessimo usare l’ironia potremmo dire che il pericolo vero che corre il sistema Paese non è il fascismo bensì il ‘faccismo’. Invece che confrontarsi sulle proposte, i leader politici ‘ci mettono la faccia’: sui manifesti come fa Giorgia Meloni o sulle tessere di partito come fa Schlein (che pure voleva imitare la presidente del Consiglio ma è stata stoppata dai suoi), anche qui ripescando il povero Berlinguer che chissà quanto apprezzerebbe. O ancora usando l’effigie di un generale con pulsioni reazionarie al posto di valorizzare i propri seguaci. Davvero: una faccia non si nega a nessuno. Eppure per quanto in tanti si impegnino a rimuoverlo, il discrimine destra-sinistra è destinato a rimanere. Solo che bisogna riempirlo di nuovi contenuti, nuove idealità. Roba per gente intrepida: se soltanto ce ne fosse.

di Carlo Fusi

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